A capo di una società di distribuzione ecco come vede il futuro del vino parlando di bollicine, Borgogna e Nebbiolo
Pietro Pellegrini
La passione per le bollicine e per le Langhe, l'orgoglio per un lavoro che il mondo delle cantine non può e non potrà ignorare, la voglia di stare sul mercato con sguardo curioso e filosofie moderne.
C'è tutto questo nelle parole di Pietro Pellegrini, titolare dell'omonima azienda di distribuzione di Cisano Bergamasco che vanta in portafoglio bei nomi della vitivinicoltura italiana e straniera da Jacquesson a Matteo Correggia, da Quintodecimo a Graci. E così via. È l'occasione per parlare di vino, futuro e passioni.
Come sta il mondo del vino in Italia?
“Se si parla di distributori in senso lato, per ciò che riguarda la nostra esperienza, non abbiamo problemi particolari se non quelli evidentemente legati a un discorso di crisi e dall'altra parte anche a un calo nel consumo del vino che ci sarebbe stato a prescindere. D'altro canto però, siamo aziende di servizio e questo ci facilita tantissimo nell'introduzione di nuovi clienti, nel continuo aumento degli stessi. In ogni caso non abbiamo sentito forti cali di volumi negli anni in cui le aziende che gestivano un mercato in maniera diretta hanno avuto grosse perdite. Quest'anno sta succedendo la stessa cosa. Non penso, però che si possa vedere il 2013 come un anno di crescita rispetto al 2012 che è stato un anno un po' pesante, però si stanno mantenendo i numeri e la cosa più particolare che continua a verificarsi, più di prima, è la crescita importante di nuovi clienti. E' un po' un paradosso perchè questo potrebbe far pensare ad una crescita anche in termini di volumi, che invece rimangono esattamente gli stessi perchè i nuovi clienti rimpiazzano i vecchi”.
Crisi a parte, il mercato italiano ha prospettive?
“Sicuramente si, io conosco tanti clienti che lavorano come prima e più di prima. Noi abbiamo vissuto un periodo a tutti i livelli, dalla produzione alla distribuzione, al mondo della ristorazione, al rapporto con il consumatore finale, in cui c'è stato un sovrasviluppo. Sono entrate una serie di realtà che probabilmente non hanno poi agito nel modo giusto ed erano troppe. Questa crisi ha in un certo qual modo permesso una migliore selezione di clienti, di produttori e anche di distributori, non soltanto nazionali. Anzi se dobbiamo riferirci a questi ultimi direi che sono proprio pochissimi quelli italiani rispetto a quello che accade nel resto del mondo. L'Italia è ancora un Paese dove il produttore vende direttamente al ristoratore e anche al consumatore. Se pensiamo ad altri mercati, ad esempio agli Stati Uniti, non esiste questa possibilità, in quanto ci sono delle regole ben precise che vietano la vendita diretta”.
Qual è il vantaggio e quale lo svantaggio di un produttore di vino che si affida a un distributore?
“Il vantaggio principale è quello di potersi concentrare di più nel lavoro di produzione, dalla vigna alla cantina e di focalizzare l'attenzione sui mercati esteri che in questo momento sono una boccata di ossigeno per molte aziende. Ma attenti, l'estero funziona se il produttore è forte anche sul proprio territorio. L'altro vantaggio è quello di avere la garanzia di un flusso di cassa certo, che un'azienda di distribuzione può dare, oggi cosa più che mai importante. Svantaggi? Non direi, sono convinto che non ci sono svantaggi se il produttore riesce a mantenere la propria visibilità, nel proprio interesse, capire che deve comunque esporsi sempre e che deve demandare tutto ciò che riguarda il commerciale a chi lo fa di professione”.
Raccontiamo la sua azienda di distribuzione, la Pellegrini
“Noi siamo un'azienda relativamente vecchia e ormai con i miei figli che lavorano in azienda, siamo alla quinta generazione. La Pellegrini nasce alla fine dell'800 sempre in provincia di Bergamo. Abbiamo iniziato come commercianti di vino, e la società ha subito negli anni una serie di trasformazioni. La distribuzione vera e propria l'ho iniziata io. Ho fatto la scuola enologica di Alba, mi sono diplomato negli anni '70 e poi sono entrato in azienda dopo un periodo all'estero, verso la metà degli anni '80, periodo difficile per il mondo del vino. La mia forte passione per il settore, legata anche al mio percorso di studi e alla mia esperienza, mi spinse a fare qualcosa di diverso. Per fotruna avevamo l'aggancio di un'azienda agricola di proprietà in Chianti, la Fattoria di Petrognano che aveva già acquistato mio nonno nel 1962, non per produrre qualità ma per avere in Toscana una filiale per potere commercializzare vino da taglio. Quindi piano piano, alla fine degli anni '80 – inizio anni '90, ho iniziato a vendere i vini degli altri”.
Come ha influito sul suo lavoro il fatto di essere un enologo?
“Certamente la mia formazione tecnica mi ha aiutato tantissimo nel mio lavoro soprattutto nelle relazioni con i produttori e con la rete vendita”.
Quali sono le passioni enologiche di Pietro Pellegrini? Cosa le piace bere?
“Non posso dimenticare la mia formazione e quindi la parte piemontese, Le Langhe, il Nebbiolo del Roero, ma anche Barolo e Barbaresco e poi non trascuriamo Ghemme e Gattinara. Poi la conoscenza in modo particolare della Francia, mi porta ad amare sempre di più il mondo delle bollicine e la Borgogna. La risposta che però riassume la domanda potrebbe essere: vini di montagna, vini dove c'è un aspetto minerale importante. Se parliamo di territori potrei citare la Valle d'Aosta, l'Alto Adige ma non solo, anche l'Etna, oggi il vino siciliano che funziona a livello italiano è proprio di questo territorio. Per concludere, posso dire che oggi sono più bianchista rispetto al passato”.
M.A.P.