L'esperienza di un agronomo siciliano: tutto parte dal suolo…
Si può lavorare un giorno in regime convenzionale e l'altro strizzando l'occhio al biodinamico? Sì. Questione di rapporti umani. L'uomo insomma al centro di tutto. Anche parlando vino. Che poi non è altro che un prodotto della terra che però ha sempre bisogno dell'apporto umano. Cose dette e ri-dette.
Tuttavia è interessante il percorso professionale di uno come Alessandro Accardi, agronomo siciliano che sta sviluppando il suo lavoro su più fronti, come spesso accade, dove è davvero determinante l'approccio umano. Da San Cipirello, in provincia di Palermo alle isole Eolie, dal convenzionale alla biodinamica, Alessandro Accardi oggi segue le aziende Caravaglio, Porta del Vento, e quella di Paola Lantieri. Un comune denominatore: cantine di nicchia e pure un po' di eroici terroir.
Come nasce la sua passione per il vino?
“Prima del vino ho iniziato dalla campagna. Il mio lavoro vuole il contatto con la terra, con la pianta. Ho iniziato così a occuparmi dei terreni di famiglia e pian piano mi sono appassionato. Il mio primo vigneto lo ricordo ancora, era di circa 11 ettari a Piana degli Albanesi, in contrada Kaggio. Era un Catarratto a spalliera. Il terreno era molto ricco e la zona abbastanza vocata. La produzione inizia nel '96 e il nome dell'azienda era Tenuta Mariano. Chiaramente l'obiettivo era quello di produrre un vino di qualità e diventare un partner privilegiato di aziende in espansione per aumentare la loro produzione. Erano gli anni del cosiddetto rinascimento enologico siciliano in cui le prime aziende si lanciavano sul mercato e diventare un punto di riferimento per loro era sicuramente molto importante. Dopo circa tre anni ho voluto cambiare e ho cominciato a propormi come consulente alle varie aziende. Un'esperienza che per me è stata molto formativa e che voglio citare è stato l'incontro con Giacomo Tachis all'Istituto Dalmasso di Marsala”.
Dopo Tachis ci sono stati altri incontri che hanno segnato la sua crescita nel settore?
“La svolta arriva con un incontro avvenuto presso l'abbazia Sant'Anastasia, negli anni dal 2009 al 2011. È stato lì che ho toccato con mano la biodinamica e ho cercato di imparare molto dalle informazioni necessarie per la gestione naturale del vigneto che ci impartiva Leonello Anello, persona molto importante per la mia crescita, nonché tra i massimi esperti di biodinamica. Grazie a lui ho imparato quanto la tempistica della campagna possa determinare nel bene o nel male un risultato. Per la prima volta ho toccato con mano la biodinamica e ho capito in cosa volevo specializzarmi: la gestione del suolo. Questo mi avrebbe fatto trovare spazio in un una nicchia ben precisa di produttori e così è stato.”
Ed a proposito di nicchia oggi offre consulenze e collabora con aziende di impostazione diversa. Da Nino Caravaglio a Porta del Vento e infine Punta dell'Ufala. Come convivono il convenzionale e la biodinamica?
“Per quanto riguarda Nino Caravaglio, lo conoscevo da parecchi anni perché amando il mare, mi recavo spesso a Salina in vacanza. Quando è arrivata la proposta l'ho accolta subito con grande entusiasmo. Coltivare vigneti a Salina è una bella sfida, e la viticoltura eroica con il tempo ha portato i suoi frutti. Sicuramente il rapporto diretto con il produttore e il fattore umano hanno inciso moltissimo anche nelle ultime due scelte lavorative. Da poco tempo ho infatti avviato una collaborazione con altre due piccole aziende, una è Porta del Vento di Marco Sferlazzo a Camporeale, in provincia di Palermo e l'altra è Punta dell'Ufala di Paola Lantieri sull'isola di Vulcano. La prima ha già una progettualità ben definita, con un lavoro in biodinamico già avviato mentre la seconda punta al biologico e al naturale e sta definendo alcuni parametri. Il comune denominatore tra tutte e tre è il fatto di essere aziende di nicchia. Questo è un fattore molto importante perché l'interfaccia è diretta e il lavoro si definisce sempre in tandem e in maniera quasi simbiotica. Per quanto riguarda la convivenza nella mia gestione delle aziende con cui collaboro, credo che il confine tra il biologico, come nel caso di Caravaglio e il biodinamico per quanto riguarda Porta del Vento, dipenda dalla capacità dell'agronomo di adattarsi e cercare di fare del suo meglio per ciascun territorio. E questa vale come regola generale”.
Quali sono oggi secondo lei, le tendenze in fatto di vino e quale il punto di debolezza per la Sicilia?
“Forse dirò una cosa scontata, ma credo che oggi più che mai ogni territorio ha le sue peculiarità da promuovere e raccontare. C'è ad esempio la Valle d'Aosta, che definisco una super piccola regione, ma nel mio cuore c'è l'Alto Adige. Mi piace molto il territorio e anche la loro organizzazione. Basti pensare che le maggior parte delle cantine anche le più blasonate sono cooperative e questo è un dato importante che deve far riflettere anche noi siciliani, la gente fa sistema e l'unione fa la forza. Mi piacerebbe vedere in Sicilia un sistema funzionante come quello”.
Ed in fatto di vino quali sono le sue preferenze? E le sue migliori bevute?
“Non cito i vini delle aziende con cui collaboro perché sarebbe la risposta più ovvia. Come ho già anticipato le mie preferenze vanno ai vini dell'Alto Adige, in particolare Iugum di Peter Dipoli, blend di Merlot e Cabernet Sauvignon. E ricordo un'annata in particolare, la 2007, molto particolare nei profumi per via della raccolta del Cabernet avvenuto quella volta come per un Eiswein. Un altro vino che mi piace citare benché non ami tanto gli aromatici è il Gewürztraminer della Tenuta Baron di Pauli, Exilissi (dal greco macerazione). È ottenuto da uve surmature, sottoposte ad una lunga macerazione di 36 ore sulle bucce, in modo da estrarre il più possibile aromi e sostanze tanniche. Questo fa sì che il vino abbia non solo una grande aromaticità ma anche una grande struttura. La mia bevuta migliore però credo sia stata per un Capodanno tanti anni fa. Il vino era la Coulée de Serrant di Nicolas Joly. Un vino che fa solo Joly, praticamente il monopolista di questo micro territorio francese, ottenuto da Chenin Blanc. E il contesto era il più semplice dei contesti, in famiglia e con pochi amici quelli veri. Forse per questo mi piace ricordarla come la migliore, perché non basta bere un buon vino, bisogna condividerlo con chi si ama”.
M. A. P.