Giornale online di enogastronomia • Direttore Fabrizio Carrera
Vino e affari

Al telefono coi vignaioli

12 Maggio 2011
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Da sinistra Mario Pojer, Leonildo Pieropan e Peter Di Poli

Tre grandi nomi del vino in una sola telefonata. E’ la ghiottissima occasione che si è per caso presentata durante un contatto al cellulare con Leonildo Pieropan.

Intervista trasformatasi in una conversazione che ha visto Mario Pojer e Peter Di Poli ospiti inaspettati. I produttori, nel momento in cui sono stati raggiunti, si trovavano insieme in auto di rientro da una riunione nazionale della FIVI (Federazione Italiana Vignaioli Indipendenti) di cui fanno parte come consiglieri. Sessione convocata per stilare il programma del Mercato dei Vini, iniziativa alla sua prima edizione in Italia promossa dalla Federazione e in programma il 3 e 4 dicembre 2011 negli spazi di Piacenza Expo. Evento che vedrà i vignaioli italiani indipendenti interagire e confrontarsi interamente con il consumatore, con quella stessa concezione di salone che in Francia oramai si è consolidata da una ventina d’anni.
La chiacchierata con i vigneron del Nord Italia è stata terreno fertile per dar corso a riflessioni e anche ad appelli lanciati al mondo del vino siciliano. Le prime venute alla luce sono state quelle di Pieropan sulle ragioni che hanno portato, lo scorso novembre, 12 vignaioli del Soave ad uscire dal Consorzio di Tutela. Diserzione da cui è nata l’affiliazione, guidata dallo stesso Pieropan, alla FIVI come Vignaioli Indipendenti del Soave. Caso unico in Italia partito da una presa di posizione contro le regole di potere e commerciali che vigono nel Consorzio, a detta del produttore veneto, in netta contrapposizione con la tutela del lavoro dei vignaioli e l’identità territoriale del Soave. “Oramai all'interno del consorzio solo una certa parte ha un potere politico enorme. Il problema è che il 95% è in mano a cooperative e ad imbottigliatori. Hanno acquisito un peso tale che i vignaioli che sono voluti uscirne sono stati più che altro dei Don Quichote. Io non ho mai voluto far parte del consorzio proprio per questo. Finché tutto passa da loro, tale per cui le scelte programmatiche alla fine risultano in netto contrasto con il lavoro del vignaiolo, lì dentro quest’ultimo non ha più che fare, è tempo perso”, afferma perentoriamente. Produzione e salvaguardia del territorio i vignaioli, resisi così indipendenti, l’hanno trovati nei principi promossi dalla FIVI assunti come base del proprio statuto. “Non è previsto alcun rapporto di commercializzazione con altri vini. Ci siamo dati uno statuto molto più rigido proprio per garantire la qualità della produzione di questo vino e il suo prestigio. Il modello a cui aderiamo promuove l’intera produzione di filiera”. Una tutela principalmente rivolta a chi beve che, come tiene a precisare Pieropan, diventa possibilità di rappresentare e far passare la cultura del territorio. “Il messaggio è quello di farsi riconoscere con un marchio definito, di cui ci siamo dotati, con un’etichetta che fa sapere chi fa il vino, quali sono le vigne, che rende percepibile la fatica che fa il vignaiolo. Invece la maggior parte delle etichette dei vini in commercio non dicono nulla su tutto questo. La gente invece così si accorge della differenza, non significa che siamo migliori, però vogliamo dire loro che siamo solo aziende agricole e che produciamo come tali – e aggiunge -. Non voglio dire che i consorzi non funzionino e lavorano male in generale, anzi in molte zone del Paese stanno portando avanti un buon lavoro”.
Alle riflessioni di Pieropan si allaccia l’appello di Pojer rivolto ai colleghi siciliani. “Visto che qualcosa si muove nel campo del Marsala per il nuovo disciplinare non posso che esserne contento, sarebbe bello però che arrivasse un segnale forte dalla Sicilia, che si credesse in una Fivi siciliana che possa valorizzare la piccole realtà del territorio”. Per il vignaiolo trentino la Sicilia, nel circuito internazionale della CEI (Confederazione Internazionale dei Vignaioli Indipendenti), cui la FIVI fa parte, avrebbe i requisiti per fare da collegamento tra l’Italia e il resto del mondo. “La Sicilia può mandare il giusto segnale per l’intero settore dei vignaioli. In fondo nella squadra internazionale del CEVI la Sicilia potrebbe giocare benissimo in attacco”. Il produttore però parla di potenzialità che ancora dal punto di vista commerciale l’Isola non riesce a concretizzare se non a macchia di leopardo. In Trentino Alto Adige, per esempio, sarebbe ancora poco presente e poco richiesta.
Ne dà testimonianza direttamente Peter Di Poli che interviene nella discussione in veste di produttore/distributore, fondatore della Fine Wines. “Ho visto un calo dei vini siciliani – dice -. Al di fuori di qualche marchio, non vengono richiesti in Alto Adige nella ristorazione. Anche se con vini di ottimo livello qualità/prezzo, la Sicilia non fa immagine. Ad incidere poi è la diminuzione del consumo extraregionale a favore di quello regionale”. Un quadro commerciale a titnte cupe che non godrebbe neanche delle novità enologiche. Di fatto come conferma il produttore, la Sicilia non fa fatturato neanche con il traino dell’Etna che nella regione non ha ancora preso piede. “Sebbene l'Etna si riesce a distinguere con un fascino diverso da quello con cui si era affermato il Nero d'Avola, rimane un fenomeno abbastanza nuovo, non ha una storia dal punto di vista commerciale. Però ha potenzialità e se fatto bene il Nerello Mascalese, che a certi livelli può confondersi con il Pinot Nero, si rivela un vitigno straordinario”. In questa terra che, più di altre, richiede la mano del vignaiolo Di Poli vede un’opportunità proprio nella colonizzazione della stessa da parte delle grandi cantine. “I grandi imprenditori, le grandi realtà, come anche i nuovi professionisti del vino si stanno dimostrando i soggetti giusti per dare propulsione al vino dell'Etna, in modo incisivo rispetto alle realtà storiche. Il merito glielo si deve riconoscere. Possono solo influire in modo positivo”.

Manuela Laiacona