L’olivicoltura italiana, entro i prossimi tre anni, avrà la possibilità di spendere oltre 3 miliardi di euro di finanziamenti europei e nazionali che vengono da Pnrr, Pac e Ocm olio d’oliva.
Si tratta di circa 3.000 euro per ognuno del milione di ettari olivetati nazionali, ma con bandi che devono tenere conto delle mutate condizioni geopolitiche, come emerso nel corso del convegno “Soldi a pioggia per l’olivicoltura italiana: gli investimenti che servono davvero al settore” organizzato nell’ambito di Sol&Agrifood. “Occorre un approccio diverso perchè sono mutate le condizioni geopolitiche – ha affermato Giuliano Martino, direttore dell’inter-professione Filiera Olivicolo Olearia Italiana – le politiche pensate e approvate solo qualche settimana fa vanno ridefinite. Non bisogna abbandonare la strada della qualità, ma occorre una maggiore sinergia nella filiera per affrontare le sfide di una nuova globalizzazione”. L’esigenza che emerge unanimemente da parte delle principali associazioni olivicole italiane, Unapol, ItaliaOlivicola, Unaprol-Foa e Aifo, è di una moratoria dell’entrata in vigore della nuova politica agricola comunitaria, per renderla più attuale.
“C’è bisogno di uno scatto in avanti sulla cultura dell’olio extra vergine di oliva – ha affermato Nicola Di Noia, direttore di Unaprol – con una maggiore professionalizzazione degli addetti ai lavori, con la creazione di esperti di filiera, come l’evologi, e con una maggiore consapevolezza del consumatore nell’uso dell’extra vergine che spinga la GDO a dare dignità a questo prodotto, eliminando i sottocosti”. L’Italia, però, nel corso di soli 20 anni, è passata da 600 mila tonnellate a 300 mila tonnellate di oli di oliva prodotti. “Plaudiamo al primo bando da 30 milioni di euro per i nuovi impianti olivicoli e la rigenerazione di quelli vecchi – afferma Bruno Armillas, direttore Unapol – ma si tratta di una goccia nel mare, che dà un potenziale produttivo da 10 mila tonnellate, e che andrebbe ripetuta nel tempo per avere un vero impatto sul settore. Basti pensare che la Spagna ha investito 10 volte tanto e oggi ha una produzione da 1,5 milioni di tonnellate”. Ma l’Italia ha anche un problema di frantoi, sono troppi e troppo piccoli. “Non vogliamo e dobbiamo copiare il modello spagnolo – ha detto Stefano Caroli di Aifo – ma i nostri 5.000 frantoiani non sono più competitivi. Serve una misura di rottamazione che consenta una riorganizzazione del sistema frantoiano che oggi può e deve utilizzare le migliori tecnologie. Per questo chiediamo che i fondi non vengano indirizzati per le creazioni di micro-impianti aziendali, ma per misure più strutturali, con impatto largo sulla filiera”.
C.d.G.