(Oliviero Toscani)
Oliviero Toscani, il fotografo di fama mondiale e adesso anche produttore di vini, è il solito.
Non risparmia le provocazioni e dice sempre quello che pensa. Lo ha fatto anche allo stand di Repubblica al Vinitaly, dove era ospite di un talk condotto dalla giornalista Alessandra Vitali. “Il vino del contadino fa schifo, a meno che non sia fortunato incappando in una annata buona”, ha detto Toscani per ravvivare subito l'incontro. Poi ha raccontato la sua nuova avvenutura da produttore, spiegando che il vino porta il suo nome, “perché non ho fantasia, ma in realtà io guardo fare il vino, non lo faccio in prima persona. E questo perché oggi vinificare è affare di tecnici specializzati, enologi, agronomi, tecnici della terra. Gente preparata, insomma”.
Per il fotografo “la produzione del vino sfiora l'andare contro-natura, perché significa fermare l'uva al momento giusto e gestire i processi che seguono la raccolta. Insomma, non si lascia la natura agire da sola, perché se lasci la natura libera di operare esce fuori l'aceto. Certo, non possiamo per questo sminuire il ruolo dei processi naturali, anzi; il vino resta comunque un prodotto non industrializzabile tout court, perché gli elementi naturali restano quelli che fanno, letteralmente, il bello e il cattivo tempo. E in maniera indipendente. E secondo me è più importante la luce della terra: dove c'è una buona luce, c'è un buon vino”.
E su cosa rappresenti il vino per l'Italia, il giudizio è netto: “Il vino in questo momento è il prodotto italiano più importante, e negli ultimi 30 anni è cresciuto un movimento che dovrebbe fare da modello a tutti gli altri settori industriali. Ci aiutano in questo caratteristiche uniche del Paese, perché noi abbiamo la possibilità di fare vino dalle Dolomiti all'estremo sud della Sicilia, ed è una cosa che non ha nessun altro. Abbiamo delle atavicità in fatto di vino, di vitigni e di vigneti che fa invidia a chiunque nel mondo”.
Personale il passaggio sul primo approccio con il vino: “Lo ricordo benissimo: eravamo sfollati, nel bergamasco, e la signora Maria mi dava due dita di vino rosso. Non ricordo con che frequenza, ma ricordo il sapore, l'odore di quel vino. Ed è un bellissimo ricordo”. Immancabile un finale sulla fotografia: “La fotografia è solo un mezzo per comunicare qualcosa, è la documentazione della realtà. Un po' come l'automobile, che guido per andare da qualche parte, non per il gusto di farlo. Non apprezzo il feticismo della foto in quanto foto. Chi scrive, ad esempio, non credo sia innamorato della stilografica, ma lo è del messaggio che trasmette tramite la scrittura”. (Repubblica)
C.d.G.