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Vinitaly 2019

L’Asia Orientale chiede sempre più vino: export italiano ancora troppo marginale

28 Marzo 2019
Ferraro_Pantini_Danese_Mantovani_Luongo_Vinitaly2019Veronafiere_FotoEnnevi__PresentazioneRoma28marzo Ferraro_Pantini_Danese_Mantovani_Luongo_Vinitaly2019Veronafiere_FotoEnnevi__PresentazioneRoma28marzo


(Luciano Ferraro, Denis Pantini, Maurizio Danese, Giovanni Mantovani e Roberto Luongo – ph Ennevi VeronaFiere)

La domanda globale di vino dell’Asia Orientale vale 6,45 miliardi di euro di import ed è prossima all’aggancio del Nord America (Canada e Stati Uniti), a 6,95 miliardi di euro. 

Nella corsa al vino, l’Asia Orientale sta facendo gara a sé con un balzo a valore negli ultimi dieci anni del 227% (12,6% il tasso annuo di crescita): 11 volte in più rispetto ai mercati dell'unione europea e quasi il quadruplo sull’area geoeconomica Nordamericana. È il quadro di sintesi fatto oggi a Roma nel corso della presentazione del 53° Vinitaly dallo studio “Asia:la lunga marcia del vino italiano” a cura dell'Osservatorio Vinitaly-Nomisma Wine Monitor. Secondo lo studio, il vino parla sempre più asiatico, con cui dialogano in particolare i francesi e – oggi più che mai – il “nuovo” mondo produttivo, Australia e Cile che in alcuni paesi beneficiano di una politica dei dazi favorevole.


(Denis Pantini – ph Ennevi VeronaFiere)

E l’Italia? Dallo studio emerge come a fronte di una tenuta in terreno positivo del sistema vino made in Italy a livello mondiale (+3,3% nel 2018 sull’anno precedente), la presenza in Asia Orientale sia ancora marginale rispetto alle potenzialità italiane. Dei 6,45 miliardi di euro di importazioni registrate lo scorso anno in Cina, Giappone, Hong Kong, Corea del Sud (ma anche Vietnam, Taiwan, Tailandia, Filippine, Singapore e altre), la Francia – pur in calo – incassa infatti a valore il 50,2% della torta asiatica, per un equivalente di 3,24 miliardi di euro. La quota di mercato italiana si ferma invece al 6,5% (419 milioni di euro), meno anche di Australia (15,9%, a 1 miliardo di euro) e Cile (8,9%).

In Italia a passo di marcia, competitor di corsa. Ma il futuro è tricolore
L’Italia, secondo l’analisi condotta dal responsabile di Nomisma-Wine Monitor, Denis Pantini, è certamente cresciuta nelle vendite, ma meno dei suoi concorrenti: in Cina in 5 anni l’incremento italiano ha sfiorato l’80% mentre le importazioni da mondo hanno segnato un +106%. Così a Hong Kong (+28% vs +67%) e in Corea del Sud (+36% vs +60%) e soprattutto in Giappone – il mercato più tricolore in Asia – dove il Belpaese non ha fatto meglio di un +3,4%, contro una domanda del Sol Levante cresciuta di quasi il 30%. Per dirla in bottiglie, nel 2018 l’Asia Orientale ha importato quasi 93 milioni di bottiglie di Bordeaux (e 6 milioni di Borgogna), mentre il complessivo dei rossi Dop provenienti da Toscana, Piemonte e Veneto supera di poco i 13 milioni di bottiglie. Tradotto in valore, il rapporto è 11 a 1: 864 milioni di euro del solo Bordeaux contro 77 milioni dei rossi Dop delle 3 regioni italiane. Il futuro si annuncia comunque interessante per il Belpaese, con un tasso annuo di crescita stimato dal nostro Osservatorio nei prossimi 5 anni che si prevede essere superiore ai consumi dell’area: fino all’8% in Cina, dall’1% al 2,5% in Giappone, complice l’accordo di partenariato economico, dal 5,5% al 7,5% in Corea del Sud e dal 3% al 4,5% a Hong Kong.

C.d.G.