di Alma Torretta
“Vulcanici si nasce” è il titolo della degustazione d’approfondimento che quest’anno le Donne della Vite hanno organizzato al Vinitaly perché quelli vulcanici sono vini che “hanno un’identità che nasce dalla profondità, dal quel particolare suolo in cui affondano le loro radici – ha sottolineato il presidente dell’associazione Valeria Fasoli – e da zone di produzione dal paesaggio notevole. Per queste ragioni sono vini che riflettono particolarmente bene lo spirito delle Donne della Vite le cui attività sono sempre incentrate sulla terra e sul paesaggio, con un approccio di tipo agronomico, perché non dimentichiamoci che il vino nasce innanzitutto dalla terra, e poi viene tutto il resto”.
Nella degustazione guidata da Alessandro Torcoli, editore e direttore della rivista Civiltà del bere, sono stati raccontati dieci vini vulcanici italiani (Soave, Durello, Gambellara, Colli Euganei, Colli Berici, Orvieto, Bianco di Pitigliano, Aglianico del Vulture e due Etna) illustrando le diversità di suoli da cui provengono, ma anche tre vini vulcanici da Giappone, Ungheria e Grecia, e al banco d’assaggio che ha concluso l’evento pure dei vini d’Austria e Capoverde. Banco d’assaggio in cui erano presenti anche altre numerose etichette vulcaniche italiane delle aree presentate.Torcoli ha rimarcato innanzitutto la difficoltà della coltivazione di questi tipi di terreni, spesso particolarmente scoscesi, che presentano una grande variabilità, anche a pochissima distanza, e necessitano molto lavoro dell’uomo, richiedendo quindi una viticoltura di grande precisione. Presentiamo i meno conosciuti vini vulcanici non italiani.
GIAPPONE. Dal Giappone presentato un vino proveniente dal Monte Fuji, un vulcano nato 100 mila anni fa e alto circa 4.000 metri, come l’Etna. Qui, su terreni di lava solidificata, pomici e ceneri vulcaniche, si coltiva il Koshu, un vitigno dalla buccia rosa arrivato dal Caucaso da cui si ottiene un vino apparentemente lieve, dal colore chiaro, dai profumi abbastanza neutri ma che pulisce e riequilibra perfettamente la bocca, come un sakè.
UNGHERIA. Nella zona del lago Balaton, nella parte più occidentale dell’Ungheria, si trova l’area di produzione di Nagy-Somloi Borvidek, ricca di basalti lungo i pendii del monte Somlo e di sabbia vulcanica nelle aree pianeggianti, frutto dell’attività di un vulcano esplosivo di cui sono ancora ben visibili oggi bolle di magma e colonne laviche basaltiche. Solo in questa zona cresce l’uva Juhfark, che in magiaro significa “coda di pecora” per la forma del grappolo, da cui si ottiene un vino complesso, che ricorda al naso la foglia di té, dai toni affumicati e di pietra focaia, a cui si aggiungono quelli della tostatura delle botti grandi in cui viene tradizionalmente lasciato maturare, e che ricorda molto i tokaji secchi.
GRECIA. L’attività vulcanica sotto l’isola di Santorini è tutt’ora molto intesa, tanto che l’isola continua ad alzarsi sul livello del mare, e per proteggere l’uva dal sole e dal vento, qui si pratica ancora la coltivazione “giristi”, ossia a cesto. Da uve Assirtiko coltivate su basalti si ottiene un bianco alcolico, quello in degustazione era di 14,5 gradi, naso ampio floreale e vegetale, consistente, dal peso sul palato straordinario, morbido ma dall’acidità sferzante e davvero esplosivo in bocca.
AUSTRIA. La Stiria fino agli anni '70 era una delle regioni più povere del centro-sud dell’Austria, finché degli scavi non hanno portato alla luce dell’acqua calda che ha dato il via ad una fiorente attività termale. Qui, dove l’antichissimo vulcano è oramai molto appiattito, si coltivano oggi diverse varietà di uva tra cui l’autoctono Schilcher ed un pregiato Traminer.
CAPOVERDE. L’arcipelago di Capo Verde, antica colonia portoghese nell’oceano Atlantico all’altezza del Senegal, composto da dieci isole vulcaniche, sono il punto più a sud in cui si coltiva la vite nel nostro emisfero. Il paesaggio si caratterizza per macchie verdi, viti cresciute spontaneamente, l’unica cosa che può attecchire in suoli così aridi composti da basalti e ceneri vulcaniche. E le vigne coltivate, di diverse varietà di uva quali Muscatel Rosso, Aleatico, Tempranillo, Touriga Nacional sono degli alberelli protetti da muretti. Negli ultimi anni un religioso, padre Ottavio, si è fatto promotore di un progetto di coltivazione della vite per cercare di contrastare l’abbandono delle isole.