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Vini e territori

Un viaggio alla scoperta del Nero di Troia della Daunia: tra miti, cibo e il vino che cambia

29 Febbraio 2016
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(Il Nero di Troia della Daunia)

di Francesca Landolina

Mi trovo a mangiare pesce in una strana palafitta in acqua. Non sono in un posto esotico, ma nel Gargano, la parte più settentrionale della Puglia. Inizia da un non luogo, un antico trabucco sospeso nel tempo e nello spazio, il Trabucco da Mimì, il mio press tour organizzato dal Movimento del Turismo del Vino Puglia e dalla regione Puglia. 

È il Nero di Troia della Daunia il nuovo compagno di viaggio. Il vitigno pugliese è la terza varietà autoctona regionale, con 1.800 ettari vitati in un territorio d’elezione compreso tra la provincia di Foggia e il nord della provincia di Bari.
Sulla sua origine le ipotesi-leggende sono diverse, ma quella più plausibile si intreccia con la storia dell’eroe della guerra di Troia Diomede, che giunto dall’Asia Minore portò con sé in Puglia le marze di questa varietà. Le sue uve sono comprese in due delle quattro Docg regionali: Castel del Monte e Cacc’e Mmitte di Lucera. Indiscutibile è che il vitigno sia protagonista in altre zone di Puglia, ma nella Daunia acquisisce un’altra veste. Ci troviamo infatti in un’area che è delimitata ad est dal promontorio del Gargano e che fa da barriera ai venti che soffiano dai Balcani. Il clima è continentale caratterizzato da inverni freddi ed estati torride. Qui, il vitigno è un altro vino con un’altra identità. “Perde in potenza e acquisisce maggiore eleganza”, mi dice il produttore Gianfelice Alfonso Del Sordo, durante la mia prima cena alla masseria Alla Chiusa delle More. “Ciò è dovuto ai suoli profondi, con una buona capacità drenante e bassa dispersione di acqua. Il terreno si lascia penetrare, assicurando un buon rifornimento di liquidi e sostanze minerali”.  


(Abbazia ed eremi di Santa Maria di Pulsano)

Ascolto con interesse da parte di chi conosce bene vitigno e territorio. Ma è l’inizio. Ho un indizio, una terra inaspettatamente diversa dal resto della Puglia, nuova gente da incontrare, e il compagno di viaggio nel calice, pronto a svelarmi qualcosa di più di sé. Vi ritrovo sensazioni eleganti di ciliegia, ribes, pepe nero, tabacco, sottobosco; rimango colpita dalla setosità al palato, dall’acidità elevata, ma equilibrata e dai tannini presenti, ma affinati. Ben presto ad ogni assaggio è il vino stesso a sussurrarmi la sua evoluzione. Il vitigno sta cambiando già da tempo la sua identità grazie all’impegno di produttori che insieme si stanno orientando ad un nuovo modo di fare. Ed ecco che la tipica astringenza dei tannini del Nero di Troia, attenuata da sempre realizzando uvaggi con altre uve (il Montepulciano in particolare), lascia posto ad interpretazioni in purezza, rosate, versioni invecchiate e perfino alle bollicine, la novità dell’azienda d’Araprì, che presto metterà in commercio uno spumante con Nero di Troia vinificato in rosé.


(Rosa Terra di Valentina Passalacqua)

Sono la terra che profuma di bosco, le rocce calcaree che si tuffano nell’adriatico, il silenzio religioso dei luoghi di culto visitati, come Castel Sant’Angelo, l’Abbazia e gli Eremi di Santa Maria di Pulsano, con le sue grotte solitarie, a raccontarmi questo vino, insieme agli attori che lo producono.
Comincio così il mio giro per le cantine, e lo assaporo con piatti raccontati da intraprendenti chef. Nel centro storico di Peschici, al ristorante Porta di Basso, è lo chef Domenico Cilenti a farci divertire con i sapori del territorio. Salicornia, manzo podolico, stracciatella e grano arso sono esaltati dal Nero di Troia che porta la firma di Valantina Passalacqua, una produttrice coraggiosa. Appende la toga al chiodo e sceglie di trasformare la sua vita in una missione: integrare il modo di agire dell’uomo a quello della natura. “Avrei potuto continuare la mia attività di avvocato o seguire l’azienda di famiglia, ma la maternità e la voglia di dare un futuro migliore alle mie figlie hanno fatto crescere in me il desiderio di costruire una cantina ecocompatibile e di produrre vini biologici, per giungere alla biodinamica e all’agricoltura sinergica”, racconta. “Una strada non facile, spesso ostica. Difficile a volte per me entrare in sintonia con i tecnici – prosegue – ma vado avanti con le mie idee che condivido con altri produttori che in Italia hanno come me la voglia di divenire modelli di un nuovo stile di vita, come Arianna Occhipinti in Sicilia per esempio”. Valentina produce circa 80 mila bottiglie. Esporta per il 20 per cento all’estero tra Giappone, Canada e Nord Europa. La sua cantina, ad Apricena in provincia di Foggia, si affaccia lungo tutto il Tavoliere. Gli ettari vitati sono attualmente 42 ma presto se ne aggiungeranno altri. Immensa l’area a verde circostante la cantina, una struttura realizzata con materiali ecocompatibili che rispecchiano la filosofia di vita della produttrice, riscontrabile nei suoi vini. C’è coerenza e naturalità nel Rosa Terra, un rosato non filtrato da uve Nero di Troia in purezza. Floreale e fruttato al naso, piacevole al palato.


(Michele Sabatino e i suoi caciocavalli podolici)

Il viaggio prosegue con la scoperta di Lesina e del suo lago, che ha una profondità di soli 70 cm. Secondo una leggenda nasconderebbe la città sommersa di San Clemente. Ma una cosa è certa, oltre ad essere affascinante attraversarlo a bordo di un agobus, è ricco di anguille. Proprio queste ultime le assaggio alle Antiche Sere, il ristorante di Nazario e Lucia in abbinamento ai vini della cantina Le Grotte. I produttori impegnati nella lavorazione dei marmi hanno di recente scommesso nel mondo del vino, iniziando un cammino appassionato da cui nasce un nero di Troia in purezza che fa solo acciaio. Rosso intenso con un bouquet speziato con sentori di mora. I vigneti della cantina, ai piedi del Gargano, si estendono per circa 40 ettari, ed ospitano vitigni autoctoni e internazionali.



(Alberto Longo)

Da un’azienda giovane si passa alla Tenuta Cavalli di Alberto Longo, dove è stata costruita una splendida cantina con le antiche fosse di stoccaggio del grano recuperate come suggestiva bottaia. Facciamo un tuffo nel passato, tornando nel 1968, anno di fondazione della cantina. Circondati da 35 ettari di vigneti a spalliera ben curati, Alberto Longo racconta la sua storia, la passione per la sua terra e l’amore per il vino. Non tradirebbe mai le sue origini. Anzi rilancia. Ne è la prova il restauro di un antico palazzo storico, la Masseria Celentano, oggi dedicata all’accoglienza turistica di alto livello. Alberto è un ottimo padrone di casa e proprio in questa masseria, degusto i suoi vini abbinati a specialità della terra. Una sublime interpretazione del Nero di Troia è di certo Le Cruste. In questo caso il vitigno si mostra in purezza. Le riconoscibili note di more, ribes e prugne sono presenti così come la setosità al palato di un vitigno addomesticato dalla vinificazione (fermenta in acciaio dopo un contatto prolungato con le bucce, affina in botti di rovere francese, barrique e tonneaux, per almeno 12 mesi e, in bottiglia per 18 mesi). Perfetto complice di una cena a base di carni succulente. In compagnia di Alberto e famiglia si chiacchiera e si brinda con una novità: il Rosé della Quercia Extra Dry, un rosato spumante da uve Nero di Troia in purezza da metodo Charmant lungo in autoclave, un illustre esempio del cammino del vitigno pugliese, sempre più volto alla riscoperta delle proprie potenzialità.


(Il Trabucco da Mimì)

Tantissime, queste ultime, quando si parla di Puglia, soprattutto se si pensa alla strada che si sta percorrendo da circa dieci anni ad oggi. Lo si nota attraverso una nuova presa di coscienza da parte di produttori, nuovi e storici. E non solo nel campo del vino. Sembra che sia in atto una comune visione. Durante il viaggio non mancano infatti gli assaggi di olio. L’ospitalità contadina pugliese si mostra del resto a tavola. Accade presso l’Agriturismo Giorgio, a Mattinata, dove un pranzo è un’ottima occasione per degustare altri vini. Ad ogni assaggio, si condivide qualcosa che in Puglia non manca mai: il calore tipico della sua gente e la testimonianza di antiche tradizioni, come quelle riscoperte attraverso il museo dell’azienda olivicola annessa all’agriturismo. Il pranzo è il momento perfetto per assaporare l’olio di Maria Cristina Bisceglia, da Origliola del Gargano, ma anche l’occasione per conoscere i vini della cantina Teanum. Le sue vigne sorgono su un territorio lievemente collinare, tra il Gargano e l’appennino Dauno. 170 ettari collocati in cinque diverse contrade allevati a tendone e a guyot bilaterale. Tra gli assaggi domina il profumo di Òtre, un Nero di Troia in purezza, dal rosso luminoso e di buona persistenza, con eleganti sentori di frutta e confettura, morbido al palato.



(Antiche collezioni D'Alfonso Del Sordo)

Altre versioni del Nero di Troia trionfano insieme agli assaggi di caciocavalli podolici di Michele Sabatino, che degustiamo durante un pranzo presso la Cantina D’Alfonso Del Sordo a San Severo, nell’antica Daunia. La storia dell’azienda, che risale alla metà dell’Ottocento, è legata alla tradizione vitivinicola del territorio. E proprio San Severo è stata la prima Doc di Puglia ad a prevedere l’utilizzo del Nero di Troia. L’azienda, seguita da Gianfelice D’Alfonso Del Sordo e dalla moglie Celeste, ha nella tenuta Coppanetta, di 25 ettari, il fulcro dell’intera filiera produttiva e si estendeper 120 ettari, divisi in tre Tenute dove si allevano Trebbiano, Bombino Bianco, Malvasia, Moscato, Montepulciano e Nero di Troia. È proprio Gianfelice ad aver svelato all’inizio del viaggio la peculiarità del Nero di Troia del Gargano: “Qui il vitigno per via del suolo e del clima perde in potenza ed acquisisce eleganza”. Al termine del press tour, dopo vari assaggi il compagno di viaggio nel calice mostra infatti la sua inconfondibile personalità garganica. Tra orecchiette e caciocavalli degustiamo Casteldrione che è stato il primo uvaggio di Nero di Troia in commercio nel 1962. Oggi la Cantina D’Alfonso Del Sordo ha due versioni del Nero di Troia: la Riserva e Casteldrione. E proprio quest’ultimo, perfetto in abbinamento alle diverse stagionature del formaggio tipico del territorio rivela un’eleganza senza pari. Intenso al naso con sentori di frutta rossa e pepe nero, armonico e morbido al palato grazie ad un leggero affinamento in botti di rovere francese. Eleganza a tutto tondo e autenticità, queste le due caratteristiche del vitigno del Gargano, un compagno perfetto che si può riconoscere al meglio se degustato in quella terra. Generazioni di vignaioli, storici e recenti, si impegnano unanimi nel dare al vitigno una loro impronta, che dona eleganza nel rispetto della natura della Daunia, che se accudita lascia sprigionare il meglio di sé. Altra piccola chicca del viaggio sono i vini dell’azienda agricola Paglione di Lucera, degustati con i piatti dello chef Paolo Laskavy al suo ristorante “Il Cortiletto”. La cena si riassume in una esperienza gourmet da ricordare, in particolare nel classico dessert composto da caciocavallo podolico con frutta secca e mosto cotto di fichi. Ad esaltare i sapori garganici, c’è il Perazzelle 2013 Paglione Doc Cacc’e Mmitte di Lucera, un blend di Nero di Troia, Sangiovese, Bombino bianco e Malvasia Bianca.

Dal Trabucco da Mimì al ristorante Il Cortiletto di Lucera, il Nero dei Troia, nel mio calice, si è via via mostrato sempre più nitido e riconoscibile. Ad ogni passo, ad ogni volto incontrato, ad ogni piatto assaggiato. Fiero di sé in ogni versione, spogliato di un passato ingombrante, che lo oscurava rendendolo poco identificativo. C’è pure lo zio Lillo, il barcarolo con cui abbiamo attraversato il lago di Lesina, a svelarmi senza saperlo un po’ di essenza di quel vino. Euforico e orgoglioso ferma l’agobus nel cuore della Laguna di Lesina. Ed invita al silenzio. Bastano 10 secondi per ascoltare la “voce” del lago. Una circostanza apparentemente casuale per sentire profumi e suoni, natura e bellezza che si ritrovano nel Nero di Troia della Daunia, specchio sempre più fedele della sua terra.