(Tonino Guzzo)
di Gianni Paternò
Tonino Guzzo che per anni è stato l’enologo di Settesoli e poi di Tasca d’Almerita, che oggi fa da consulente ad oltre 10 aziende, in una sera, organizzata dall'Ais di Palermo, ci ha raccontato la sua Sicilia in Bianco. Lo spunto è partito dall’assaggio di sette sue creature, 7 vini bianchi che rispecchiano quanto di meglio l’Isola riesca ad esprimere.
Tonino, appena cinquant’anni che non dimostra, è entusiasta del suo lavoro, un fautore attento dei suoi vangeli agronomici ed enologici che applica nella sua attività, un fiume in piena che ti sciorina le cose buone e quelle da evitare, che sottolinea i luoghi comuni nel mondo del vino e che ha la fermezza di manifestare i suoi princìpi, che sono lodevoli e indubbiamente condivisibili.
Si comincia parlando del Catarratto, il vitigno che copre tuttora il 50% della superficie vitata siciliana. Molto diffuso nell’ovest e presente fin sull’Etna. Un vitigno che Guzzo lamenta sia stato considerato nel passato, anche recente, il male oscuro dell’enologia siciliana, penalizzato anche dal nome per niente elegante, un vitigno presente in tutta l’Isola che era stato coltivato e vinificato non rispecchiando le caratteristiche del territorio. Tonino ci lavora con dedizione da 30 anni in quanto ha sempre creduto nelle sue potenzialità. Il male era l’uso che se ne faceva, era la sua collocazione nei posti sbagliati perché, visto che è produttivo e frugale, veniva impiantato un po’ dovunque. Così non poteva che dare vini quasi imbevibili, pesanti, troppo ricchi di acido tartarico. Il Catarratto anche se sembra resistere alla siccità, in realtà reagisce male. Va impiantato in terreni adatti, dove non ci sono stress idrici o dove poter utilizzare impianti di soccorso.
Guzzo, come sempre per il suo lavoro, comincia con lo scegliere il terreno e le condizioni fitoclimatiche dove inserirlo nel miglior modo, lo fa crescere con molta foglia in quanto essa è “il laboratorio del frutto”. Sceglie e porta innesti forti contrariamente alla moda attuale di utilizzarne deboli per dare poca produzione. Ed ecco sciorinato il primo luogo comune: bassissime produzioni. Per il nostro enologo tali basse produzioni sono necessarie in zone dal clima difficile, dove per raggiungere la maturazione si ci deve affidare alla preghiera. I 35 quintali per ettaro servono in Borgogna non in Sicilia dove il sole, il clima e le precipitazioni ridotte permettono di produrre il giusto. Conferma l’importanza della sarchiatura, il cui effetto equivale ad una irrigazione. Il momento della vendemmia è poi deciso principalmente dall’assaggio dell’uva affinchè poi il vino ne sia fragrante.
Altro luogocomune che Guzzo demolisce: la raccolta a mano. Ormai non è il solo ad affermare i pregi dell’uso di una buona macchina dove possibile; i pregi sono raccolta notturna col fresco, immediata, rapidissima, dei soli chicchi maturi. Il resto, per non stancarvi, alla prossima puntata.
I Catarratto assaggiati:
Catarratto 2014 di Lombardo. Siamo a San Cataldo (Cl) e Gianfanco Lombardo, figlio di contadini, è il regista di questa azienda che ha con i fratelli; se necessario si irriga. Al naso è un’esplosione di profumi: fiori di ogni tipo e frutta gialla. In bocca è fresco, franchissimo, minerale, di grande equilibrio.
Shiarà 2014 di Castellucci Miano. Vigne a quote superiori a 750 metri. Proviene da una vigna di 40 anni dove non c’è bisogno di irrigazione. Il risultato è abbastanza simile al precedente, indice che si sentono le qualità del Catarratto, che Tonino lo ha rispettato. E’ solo dall’olfatto leggermente più grasso e dalla struttura più nerboruta.
Due vini sorprendenti e di grande finezza. Dimostrazione vivente che il Catarratto è una varietà meritevole di molta più attenzione.