Demetrio Stancati, patron della cantina e presidente della Doc Terre di Cosenza. “Avanti tutta con il magliocco. Abbiamo cominciato a fare sistema, la nostra storia antica è il miglior volano per affrontare il futuro”
(Demetrio Stancati)
di Francesca Landolina
La Calabria del vino? “Produce ancora poco rispetto alle sue potenzialità e va promosso di più nei mercati internazionali. Molto di più”.
Sono le parole di Demetrio Stancati, patron della cantina Serracavallo di Bisignano, in provincia di Cosenza mentre giriamo tra le sue vigne che abbracciano la Valle del Crati, dalla catena appenninica fino alle falde del Pollino, durante un press tour organizzato da Cronache di Gusto. Stancati, che è anche presidente del Consorzio Doc Terre di Cosenza composto da 50 produttori associati, ha una visione nitida della sua regione in campo enologico. La Calabria, anticamente nominata Enotria, terra del vino, ha una storia vinicola che risale al tempo della colonizzazione dei greci. Per esempio, si dice che fosse una bevanda a base di uva chiamata Cremissa e prodotta in Calabria quella offerta ai vincitori dei giochi olimpici atenei già nel 760 avanti Cristo. Tanto per dire quanto la Calabria sia importante nella storia del vino. Radici dimenticate e offuscate. L'importante varietà di uve e il primato per l'istituzione di una delle prime Doc d'Italia sono una ulteriore testimonianza. Eppure la vecchia Enotria è ancora fanalino di coda nella produzione vinicola nazionale, fatta eccezione per le buone performance nella produzione biologica, dove segue Sicilia, Puglia e Toscana. E fuori dalla Calabria è pressoché sconosciuta. Peccato. Roba insomma da far infuocare un calabrese doc senza nessuna dose di peperoncino. Di positivo però c'è un risveglio fatto da uomini, vignaioli e produttori a cui non interessa più la quantità e che amano e coccolano le proprie vigne, producendo vini di qualità.
E sentendosi soprattutto di essere solo all'inizio e con la volontà di voler tirare ancora le immense potenzialità del territorio calabrese e delle sue innumerevoli sfaccettature. Ne ha fatto una mission per la propria azienda lo stesso Demetrio Stancati. La sua azienda agricola Serracavallo si estende per 55 ettari di cui 30 di vigneto e 10 di uliveto. Nel 1995, come ci racconta lui stesso, ha iniziato un’opera di rinnovamento dei vigneti, avviando un’attenta selezione clonale dei vitigni autoctoni presenti in azienda da sempre, come il magliocco dolce e il pecorello ed ha impiantato nuovi vitigni internazionali come Cabernet sauvignon e Chardonnay allevati a cordone speronato o a guyot. “Certo anche io, come tanti in quegli anni, ho iniziato con i vitigni internazionali – spiega il produttore – ma quella fase è servita a portare avanti la ricerca sulle varietà autoctoni e soprattutto sul magliocco, un vitigno esuberante che abbiamo dovuto addomesticare, scoprendo quanto sia importante coccolarlo in vigna affinché raggiunga la giusta maturazione. È una grande varietà a cui è possibile conferire morbidezza grazie alle esperienze che abbiamo fatto in vigna e con la vinificazione e con l'uso del legno senza mai esagerare”.
Serracavallo è una cantina che senza dubbio gode di una posizione favorevole per la coltivazione della vite; a 600 metri sul livello del mare la forte escursione termica giorno-notte, la natura di sabbione granitico del terreno, l’esposizione a sud e a sud-ovest delle vigne, permettono di ottenere vini molto intriganti e rispettosi della vocazione del territorio. In azienda vengono trasformate solo uve proprie con una produzione di circa 80 mila bottiglie vendute per due terzi nella stessa regione. Solo un terzo va all'estero (Centro Europa, Germania e Giappone). “Contiamo però di raddoppiare la quota di export”, afferma Stancati. Al momento per quel che riguarda la produzione, la filosofia aziendale prevede di usare blend tra vitigni autoctoni e internazionali nei vini base, mentre, salendo d’importanza nella gamma, la percentuale di vitigni internazionali diminuisce fino a sparire totalmente. Le etichette sono composte da due bianchi, due rosati e 4 rossi che declinano il Magliocco in molteplici identità: il Settechiese (60% Magliocco dolce e 40% Cabernet Sauvignon fa solo acciaio), il Quattro Lustri (100 per cento Magliocco dolce, vinificazione in acciaio) e i più complessi Terraccia (90 per cento Magliocco dolce e 10 per cento Cabernet Sauvignon affina 18 mesi in barrique e 6 in vetro) e Vigna Savuco (100 per cento Magliocco dolce di un unico vigneto, preappassimento in pianta con torsione del peduncolo. Vinifica in acciaio per 18 mesi e affina 30 mesi in barrique e 12 in vetro). Un vino complesso, da meditazione. Nella produzione c'è anche Alta Quota Brut, lo spumante rosato metodo classico di Magliocco dolce coltivato sull'altopiano silano a 1.230 metri di altezza.
Ascoltando Stancati, si comprende come sta riemergendo il vino del comprensorio di Cosenza da un secolo di oblìo. La nostra percezione nel degustare i suoi “Magliocco” è che grandi passi avanti siano stati fatti sia in generale per quel che riguarda la direzione del vino calabrese sia nel particolare per la valorizzazione del vitigno autoctono a bacca rossa. “C'è tanto da fare ancora – spiega ancora – ma la valorizzazione delle specie autoctone e lo spirito di collaborazione tra produttori, che hanno capito che solo facendo rete possono dare voce e forza ai vini di Calabria, sono segnali ormai consolidati”. E conclude: “Abbiamo cominciato a fare sistema, la nostra storia antica è il miglior volano per affrontare il futuro”. La nostra visita accompagnata da una buonissima cena in cantina si conclude con la degustazione di una anteprima. Si tratta di un passito da uve Greco bianco e Pecorello che sarà commercializzato a fine estate. Dubbi ancora sul nome.