(Giuseppe Liberatore, Francesco Liantonio, Riccardo Ricci Curbastro, Raffaele Librandi)
di Fabrizio Carrera
Se qualcuno avesse ancora dubbi sul fatto che il vino rappresenta uno dei pochi salvagente per il Sud Italia deve andare a Cirò, in Calabria, costa ionica.
Potrebbe avere una conferma significativa. E proviamo a spiegarvelo. Mentre scrivo queste righe sono in viaggio sulla statale 106, la strada che collega Reggio Calabria a Taranto, una dorsale lunga oltre 400 chilometri. Sono con Francesca Landolina, sempre più “wine journalist” per Cronache di Gusto e Salvo Giusino il patron di Publisette che è la concessionaria di pubblicità di questo giornale. Abbiamo lasciato da poco Catanzaro alla volta di Cirò. La strada attraversa luoghi polverosi e abbagliati dal sole, tante – troppe – case, talvolta incomplete, alcune bruttissime. Il traffico costringe ad andare lenti. La vista è poco decorosa. C’è una sensazione di desolazione. Tutto questo per quasi 100 chilometri. Poi improvvisamente, dopo Crotone, il paesaggio cambia. Non tantissimo. Ma c’è qualcosa di miracoloso. Spuntano i vigneti e si modifica il profilo. Non che questo faccia sparire l’abusivismo, ma la vista si distende un po’.
Appena lasciamo la statale 106 per salire verso Cirò, la trasformazione è definitiva. Spariscono molte brutture. Cirò è un piccolo borgo antico, un centro storico povero, ma decoroso, una vista pazzesca su “a’ vadda”, così è chiamata l’ampia vallata che degrada verso lo Ionio dove regnano i vigneti di Gaglioppo e di qualche altro vitigno in questo luogo che è la Capitale del vino calabrese (non se ne abbiano gli altri territori di questa parte d’Italia). Cirò fa tremila abitanti e ha un futuro promettente, malgrado tutto. Il sindaco Francesco Paletta, volenteroso e ottimista (non è poco da queste parti) racconta con un pizzico di orgoglio le piccole strutture ricettive che stanno per aprire, il cibo, l’aria, il paesaggio. Tutte leve importanti per il turismo. Si duole quando pensa all’isolamento. C’è a un tiro di schioppo l’aeroporto di Crotone. Ma non decolla. Pochi aerei. Nient’altro. L’aeroporto più vicino è a Lamezia Terme, due ore di strada se vi va bene. Ed allora il sindaco, che è anche il coordinatore calabrese delle Città del Vino (19 comuni in tutto) alza un po’ la voce: “Dateci una strada veloce, rifate la statale 106 oppure potenziate l’aeroporto. Ma non lasciateci isolati. Qui il turismo può crescere ancora e può salvarci”. Non ha torto.
Il vino cambia le prospettive. E crea maggiore sicurezza sociale. Raccolgo un altro esempio. Sarà solo un caso, ma ci fa riflettere. Mentre guardo la vallata e i tanti paesini attorno a Cirò qualcuno mi racconta che molti sono commissariati. I consigli comunali sono stati sciolti per infiltrazioni mafiose. Accade a Cirò Marina, a Strongoli, a Crucoli, a Casabona ed anche un po’ più a sud a Isola Capo Rizzuto. Tranne – e ripeto tranne – a Cirò e a Melissa. Che sono i comuni che danno il nome alla denominazione. Solo un caso, certo. Ma suggestivo.
(Una veduta del centro storico di Cirò)
Parlo con Nicodemo Librandi e i figli Paolo e Raffaele. Quest’ultimo è il presidente della Doc Cirò e Melissa. Nicodemo è un visionario di altri tempi. Un insegnante di matematica che seguendo il fratello Antonio ha costruito le basi della vitivinicoltura moderna in Calabria. Lasciando poi la scuola e dedicandosi all’impresa di famiglia senza mai risparmiarsi. Oggi, lui stesso, racconta che, anche se a piccoli passi, si sta facendo rete. Che i suoi figli e i suoi nipoti sono parte integrante di un sistema che sta mettendo assieme le tante risorse del territorio e i tanti piccoli vignaioli. E pensiamo a Cataldo Calabretta (che è anche il vice presidente del consorzio), a Sergio Arcuri, a Francesco De Franco, a Francesco e Vincenzo Scilanga di Cote di Franze, a Salvatore e Assunta Dell’Aquila e a Mariangela Parrilla di Tenuta del Conte. Ed altri se ne stanno aggiungendo. È un segno di dinamismo che non solo non va sottovalutato ma va incoraggiato. È un messaggio che raccolgo mentre si celebrano i 50 anni della Doc con tanti interventi che celebrano la denominazione. Grazie al contributo di Valoritalia, l’ente di certificazione della Doc Cirò e Melissa, si snocciolano numeri significativi e si tracciano percorsi futuri (ne parleremo in un altro articolo e pubblicheremo alcuni video). Ci sono il presidente e il direttore generale di Valoritalia, Francesco Liantonio e Giuseppe Liberatore, a testimoniare la vicinanza della società di certificazione a quest’angolo di Italia del vino. Assieme al presidente della Federdoc Riccardo Ricci Curbastro sempre tagliente nei suoi interventi. Anche questo è un segnale di incoraggiamento.
Guardo il mare Ionio dal balcone dell’albergo che ci ospita, il filo dell’orizzonte vastissimo e mi emoziono nel pensare che circa 2.500 anni fa sbarcarono qui i primi coloni greci. Stava per nascere la Magna Grecia ed Atene era l’ombelico del mondo. Da qui sono passate le basi della civiltà occidentale. I greci portarono la vitivinicoltura. Da allora non è accaduto quasi più nulla. Ed allora si può ripartire. Si deve ripartire. Anche grazie al vino di qualità. Prodotto senza scorciatoie e finzioni. Oscar Farinetti, il patron di Eataly, ma anche grande uomo di marketing, tempo fa ha suggerito ai calabresi di cambiare il nome della regione in Enotria. Il vecchio nome di un territorio che è stata la culla del vino italiano. Lui sostiene che porterebbe un grande e benefico scossone. Ed una notorietà mondiale a una regione d’Italia che purtroppo evoca altre immagini per nulla edificanti. Che abbia ragione lui?