Riceviamo e volentieri pubblichiamo un articolo di Walter Massa, produttore di vino in Piemonte. Massa, dopo aver letto il nostro reportage sui terroir italiani del vino del futuro votati da una giuria di 25 giornalisti, invita tutti a scommettere anche sui Colli Tortonesi. Una provocazione. Ma non troppo.
“Ho letto con divertimento e curiosità il responso del report di Cronache di Gusto a proposito dei territori vitivinicoli italiani sui quali scommettere. In maniera altrettanto leggera cerco di entrare in discussione e ovviamente “tirare acqua al mio mulino”.
Sono emersi tre grandi territori ai vertici nazionali, se non mondiali, ricchi di storia, di volumi produttivi, tutti con belle serie (alcune mitiche) aziende legate alla terra, paesaggi cui non manca nulla, ma in sostanza, che emerge di nuovo?
Interessante vedere proposte non scontate, dal Carso al Lessona, con il ritorno alle Cinque Terre, i Campi Flegrei, Boca, Oltradige, Garda, Salento, Cilento, Colli Bolognesi ecc., ma che c’entra la parola scommettere con i tre territori sul podio?
Se parliamo di investire va bene, sullo scommettere non mi trovate d'accordo. Ed ecco le mie considerazioni sui territori più votati.
Campania: solo considerazioni positive, grande potenzialità, prezzi dei terreni umani, varietà ampelografica (biodiversità se preferite) strepitosa, sì, se io facessi un altro mestiere e me lo potessi economicamente permettere ci investirei, ripeto, investirei, non scommetterei.
Etna: amo il luogo, il pensiero, i pionieri, i vini ed i vitigni, il fascino, pure li ci investirei, ma a patto che i miei “teorici futuri colleghi”, oggi grandi produttori in Etna land, da subito si impegnino settimanalmente a tenere pulite le strade che da Fiumefreddo, da Bronte, da Paternò, da Biancavilla salgono verso la cima dell’Etna, dalle bottiglie di plastica e dei rifiuti di ogni genere che le torturano, come torturano la vista degli amanti di questo monte di fuoco e di tutto ciò che di buono e bello lui può esprimere. Non ha senso investire milioni di euro o di dollari, divenire proprietari di terreni, vigne, ville, cantine, palmenti e non aver da investire poche centinaia di euro per pulire i bordi stradali, certo, sarebbe compito delle istituzioni, ma non possiamo continuare a dire che vino è cultura quando non facciamo nulla per dimostrarlo. A me sembra un atto dovuto per poter pronunciare guardando negli occhi l’interlocutore, il magico nome Etna. A questo punto ci posso investire ma non scommettere. Per scommettere è tardi.
Barolo: scommessa persa. Aggiungerei investimento a rischio. Certo, non perderai in valore, ma quando le mie bottiglie di Barolo entreranno nella storia? O sei veramente un connubio di Onassis (come portafogli) e di Quintarelli o Valentini o De Bartoli (come estro, sensibilità ed etica produttiva) o con i soldi degli interessi ti puoi permettere degustazioni di vini di tutto il mondo, in verticale o in anteprima, ospitare gli amici acculturandoli, invece così si rischia di farsi taglieggiare da certi collaboratori, per cercare di sorpassare la storia. Investimento da fare esclusivamente se i soldi ti escono dalle orecchie ed hai un’amante da imboscare come già è successo nel passato. Fosse messa in vendita un’azienda consolidata nel Barolo, vi fossero motivi emozionali validi, avendo un conto in banca che lo può permettere certo investirei, ma il rischio è altissimo. Io tra un Barolo di Walter Massa a 70 euro la bottiglia, e uno proposto da Accomasso, Altare, Azeglia, Canonica, Cavallotto, Clerico, Conterno, Mascarello, Massolino, Rinaldi, Roddolo, Sandrone, Scavino, Voerzio ecc. ecc bevo loro, al loro prezzo, e bevo autoctono anche nel pensiero. Cari investitori che pensate: che i miei colleghi siano tonti? E se sul mercato va una vigna o un terreno vocato se la lascino scappare? A voi, rimarrebbe della terra normale, per dire “ho l’azienda a Barolo” per ingrassare, mediatori, consulenti e funzionari disonesti.
Di grosso e buono pochi anni fa a Barolo c’era Fontanafredda e Borgogno. E chi ci ha pensato? Fortunatamente ed ovviamente una famiglia autoctona. Barolo all’inizio dell’epopea, negli anni '80 erano 1.200 ettari, oggi sono circa 2.000. Non vi sembra di tirare un po' troppo la corda?
Allora perché scommettere e non investire nella collina tortonese e nei suoi 47 comuni amministrativi? Negli anni '60, nel Tortonese il vigneto coltivato tutto e solo in collina era di circa 5.000 ettari, oggi, siamo a circa 2.000. esclusivamente per l’esodo rurale. Rimangono almeno 2.000 ettari di terreno ad altissima valenza pedologica, con esposizioni “da vino buono”, a un prezzo da fame, condito da un paesaggio ed ambiente “magico”.
Sì, il terreno “da vigna buona” sulla collina tortonese costa esattamente, meno di nulla, e, come Langhe, Collio, Irpinia, Valpolicella, Chianti, Etna, Monferrato ha 4.000 anni di storia, tra l’altro di vigne bianche (Timorasso) e nere (Barbera). Questo è già un buon motivo per “scommettere”, l’investimento è risibile.
Il tortonese come le aree vitate dell’Italia tutta, era fatto di uomini che stufi di farsi prendere in giro, con redditi agricoli da vergogna, e non avendo il momento temporale favorevole, come invece è successo nel mio caso, hanno ritenuto di seguire il mondo e stare nei binari, io ho in semplicità scelto e potuto seguire la storia e la natura con il risultato che oggi i vini bianchi tortonesi sono nel salotto buono del vino mondiale, ed ai rossi da Barbera e da Croatina non manca nulla.
Bere per credere ovviamente comprando e pagando alcune bottiglie prodotte delle circa oggi 30 aziende tortonesi sul mercato.
Certo, sono stato premiato per aver creduto su tutto ma perché avevo ed ho una certezza: un territorio che ha un futuro e con secoli di storia sul quale oggi chiunque ci potrà investire con grande soddisfazione.
Alla storia appartiene pure il vitigno della certezza, il Timorasso, da secoli primadonna della nostra collina, con la sua generosità qualitativa e le sue difficoltà produttive. Non l’ho inventato io, ci ho semplicemente creduto capendolo, coccolandolo ed accompagnandolo al prezzo giusto nei posti più esclusivi d’Italia, poi del mondo, cercando collaborazione con i colleghi del territorio.
Sì, Timorasso è stato un regalo che oggi appartiene all’umanità, con qualche sacrificio, ti da vini posizionati sul mercato a 10 euro la bottiglia franco cantina, il che significa nel circuito virtuoso dell’alta e media ristorazione, sfera naturale di appartenenza di questo vino, posizionato intorno i 20, 25 euro minimi la bottiglia nelle carte del vino nel mondo (che vale e capisce). Di certo il mercato in semplicità può assorbire un milione di bottiglie di Derthona Timorasso.
E poi, sta arrivando nei canali giusti, la partita dei rossi, e lì ci divertiamo, contribuendo a spiegare cosa è la “grandeur” della Barbera, e l’immensità della Croatina.
Signori, la scommessa è già stata fatta, basta investire, ed aiutarmi a vincerla. Insieme”.