di Alessandra Meldolesi
È stata un caso, la vendemmia 2003 in Champagne, regione che ha forse iniziato a pagare lo scotto degli incipienti cambiamenti climatici.
Le gelate primaverili, seguite dalla canicola estiva, hanno decimato i grappoli e dissestato gli assi organolettici, tanto che sono state molte le maison, che hanno deciso infine di non uscire con le loro cuvée millesimate, e quando hanno osato, spesso non hanno convinto. Non Dom Pérignon, nonostante una politica di grande rigore, che da sempre subordina l’uscita all’eccellenza, vedi il mancato 1997. Ma lo chef de cave del tempo, il carismatico Richard Geoffroy, ci ha visto lungo: per lui farlo uscire rappresentava una sfida entusiasmante. Si trattava di ridefinire il bilanciamento del vino, traducendo la potenza in intensità e sfruttando la mineralità per dare vivacità al frutto, secondo il resoconto di Alberto Lupetti. Praticamente “una provocazione da Dom Pérignon”. Già nel 2010, quando uscì, sorprendentemente dichiarò di intravvedere il potenziale per andare oltre…
A quei tempi al suo fianco c’era già Vincent Chaperon, oggi nuovo chef de cave, che pian piano si sta lasciando permeare da luoghi più volte sacri (un’abbazia convertita al culto di Dioniso) e dall’eredità del celebre monaco, caricandosi di carisma e di un eloquio al limite dell’esoterico, si direbbe geoffroyzzato. La parola d’ordine è “armonia”, intesa come ordinamento della natura da centrare ogni volta con formule diverse, attraverso la selezione di uve e vigne, il preblending per affinità o complementarietà e la messa a punto della cuvée. Nel mirino la coincidentia oppositorum fra natura e cultura, tradizione e modernità, padronanza e istinto, cerebralità e piacere. Il colpo di scena è che alla fine è successo, per le sue cure quel vintage tanto discusso è diventato un P2. E non uno qualsiasi (ammesso che lo possa essere). Nessuna forzatura: la critica è rimasta sorpresa già dal primo sorso al momento delle presentazioni, insieme al Dom Pérignon 2012. Ineccepibile quest’ultimo, al tempo stesso maturo e fresco sul caratteristico fondo di mineralità. Un elegante Champagne scacciapensieri, nello stile inconfondibile della maison. Ma il salto di qualità è stato evidente.
Il P2 2003 ha davvero impressionato per intensità, complessità e persistenza, riempiendo prepotentemente il palato, senza appesantirlo. “Danza più alto, parla più forte, la sua vibrazione è più profonda, l’energia inesauribile grazie a 11 anni supplementari trascorsi sui lieviti, rispetto al vintage rilasciato nel 2010”, ha illustrato Chaperon. “In pratica una seconda vita. Avendo perso gran parte dello chardonnay, siamo partiti da una percentuale di pinot noir mai così elevata e da un eccesso di tannini e fenoli, dovuto all’andamento climatico peculiare, che abbiamo dovuto contenere. Questo ci ha spinto a esplorare nuove tecniche, come l’ossidazione dell’uva nella pressa, per liberarci dai fardelli e migliorare la struttura, prevenendo il premox. Dopo di che l’ossigeno diventa un nemico. È stata per noi la prima volta in assoluto, quindi è l’anno in cui abbiamo reinventato noi stessi. Il rischio ha un gusto? In questo caso è molto fisico: l’energia, ma anche la personalità. Questo P2 è un game changer che ci ha costretto ad alzare l’asticella e spostare le frontiere. Ha più freschezza grazie alla tecnica e più intensità grazie alla natura. È più di tutto. Si potrebbe paragonare ad annate come 1976, 1959, 1947. In bocca non c’è traccia di cedimenti o ossidazioni, penso ci siano tutte le potenzialità per proseguire sulla strada del P3, lungo la quale paradossalmente lo Champagne potrebbe tornare meno intellettuale del P2”.
Nella stessa 2012, del resto, sono state per la prima volta utilizzate parcelle diverse dal solito, portate alla ribalta dal meteo. È quindi nel savoir faire di cantina, nell’accezione migliore del termine, che Dom Pérignon intende cogliere la sfida più epocale, quella dei cambiamenti climatici, visto che le vendemmie anticipate al mese di agosto, da quel sorprendente 2003 a oggi, sono state già quattro e hanno fatto tesoro dell’esperienza maturata sul campo.
VINTAGE 2012
Uno Champagne in equilibrio fra contrasti, scaturito dalla severità invernale e dalla generosità estiva. Il risultato è un tripudio di intensità e di freschezza. L’attacco è floreale di fiori bianchi e fruttato di albicocca, poi subentrano note vegetali quasi mentolate e un sospetto amaricante di rabarbaro sul caratteristico sottofondo minerale. Cenere, pepe bianco, cipria, zenzero, tabacco.
VINTAGE P2 2003
Il massimo dell’intensità unito al massimo della freschezza, grazie al connubio di natura e tecnica in cantina. Il sorso è entusiasmante per vitalità e ricchezza, con note di verbena secca, arancia e sottobosco su una bocca profonda, praticamente infinita. Se il vintage è stato definito “un piccolo capolavoro”, il P2 è un capolavoro tout court.