di Saveria Sesto
Nelle colline di Gimigliano (Cz) in terreno agricolo impervio e difficile da raggiungere, nei giri da camminatore-esploratore, Riccardo Elia ha individuato un palmento rupestre scavato nella roccia.
Da inesperto, ma curioso conoscitore della storia locale, inascoltato, pur avendone negli anni segnalato la presenza non si è arreso e ha contattato anche la nostra redazione. Secondo il parere dell’esperto-ricercatore Orlando Sculli che nella Locride ha studiato, segnalato e classificato i 700 palmenti sparsi tra Ferruzzano, Sant’Agata del Bianco e Casignana, questo di Gimigliano ha una probabile datazione “del periodo ellenico con modello rettangolare della vasca superiore, tipico dei primi palmenti del Mediterraneo antico e del Medio Oriente dove nacque la civiltà del vino – spiega Sculli – Ho delle immagini d’Israele e della Grecia del nord, dove prima c’erano i Traci, che anteriormente ai Greci producevano vini ottimi, del tipo di quello rubato da Ulisse ai Ciconi con cui ubriacò Polifemo”.
(Il palmento)
Emerge poi, dal sopralluogo effettuato con l’archeologa Marta Nobili che pur non trovando frammenti di terrecotte, il palmento è molto antico perché si leggono i segni di piccone nella roccia granitica ancora perfettamente visibili e riconoscibili. Mentre Riccardo Elia ne misura le dimensioni del palmento (vasca circolare 50 centimetri per 32 di profondità), quella intermedia 110 per 60 e quella in basso 80 per 70 e profonda 30 centimeetri io raccolgo i tralci delle poche piante di vite che residuano intorno al palmento, ne faccio dei campioni che saranno destinati ad effettuare il profilo genetico per individuare la loro identità. Questi saranno assicurati per la moltiplicazione nelle mani dell’azienda Vivaistica di Mario Maiorana di Acconia e poi di Attilio Scienza che studiando il Dna saprà dirci di che vitis si tratta.
Accanto allo spettacolare palmento rupestre si rinviene un palmento moderno del ‘900 avvolto da rovi e sterpaglie che Riccardo a suon di roncola elimina facendosi via via strada e svelando davanti ai nostri occhi la struttura e la forma ipotizzando la vinificazione di un tempo. E anche qui intorno raccogliamo qualche pianta di vite resiliente da cui prelevare tralci e foglie per capire, scrutare e sondare. Ma cosa capire? Che eravamo la terra Enotria, la Madre Terra del vino che abbiamo diffuso in Europa attraverso vinaccioli, tralci e sapienza. In ogni angolo di questa Calabria un palmento rupestre con i segni di ogni passaggio di greci, latini, bizantini, armeni, ce lo ricorda. E per capirlo ci vuole scienza, anzi il professore Scienza, accademico dell’università di Milano, ma ci vuole anche la coscienza locale per valorizzare l’esistente.