di Titti Casiello e Federico Latteri
Cos’è il Canevese? E dove si trova Carema? Ma chi sono i giovani vignaioli canevasani?
Domande e rispettive risposte non così scontate. Perché ancora oggi molti di questi nomi potrebbero risultare estranei al proprio bagaglio enoico. E non ci sono né colpe né meriti per questa assenza, ma in realtà c’è solo stato un territorio schivo, introverso – quello del Canavese – silente per secoli, perché per secoli è stato visto solo come mero volano per il passaggio da un confine territoriale ad un altro. Eppure, oggi, questa lunga linea montuosa ha smesso di essere considerata solo l’incontro con la Valle d’Aosta a nord o l’incrocio della prima vista d’Oltralpe a est; e pare letteralmente straripare, dalla Dora Baltea, che attraversa i suoi piccoli paesini montani, mostrandosi al Mondo in tutte le sue ricchezze paesaggistiche, culturali ed enogastronomiche. Molto spesso si è parlato, infatti, di un “Rinascimento” del vino italiano, ma forse pensando a quello che sta succedendo nel Canavese, sarebbe più giusto parlare di un “Romanticismo” del vino italiano. Di quella corrente culturale che alla fine del ‘700 vedeva nel popolo e nella nazione il suo cardine principale. Ed è proprio quell’idea di unità, di insieme di persone unite nella storia e nella tradizione, che pare rispecchiare esattamente l’idea dei Giovani Vignaioli Canavesani. Piccolo gruppo di energici e vitali vignaioli under 40 che ha dato nuovamente vita al populismo enoico, convogliando tutte le energie per un unico sentito comune: dare valore ai vini del loro territorio, restituirgli quella parola che fino ad oggi era venuta a mancare in uno con la custodia della cultura contadina e delle tradizioni vinicole.
Perché quella cultura stava per cadere nell’oblio della memoria. Complice l’arrivo dei grandi colossi come l’Ibm e la Olivetti (che avevano stanziato i loro principali stabilimenti in zona), la generazione dei “figli dei fiori” era parsa, infatti, durante gli anni ‘60, più affascinata dal pullulare informatico che dall’invaiatura della vite. E non ci ha messo, quindi, molto il bosco a riappropriarsi, a mano a mano, dei suoi spazi, così da coprire quasi tutti quei già pochi ettari vitati faticosamente tenuti in vita. Basta un dato tra tutti a dimostrarlo, quello di Carema, che partita, nei suoi tempi di gloria, con un’estensione vitata di circa 60 ettari, era diventata, nel 2013, praticamente a “rischio estinzione” sfiorandone appena 13. E’ servita, eccome, allora la caparbietà e la testardaggine di questi giovani ragazzi, che a distanza di 10 anni da quel rischio estinzione e con un gap generazionale di quasi 50 anni, sta ricostruendo, pietra dopo pietra, la memoria viticola di paesi come Carema e del Canavese tutto. E anche in questo caso, basta un dato a dimostrarlo, sempre quello di Carema, arrivata a 22 ettari vitati e 51.040 bottiglie prodotte nell’anno 2020.
“Quest’anno siamo riusciti ad estendere l’area vitata di unettaro in più” afferma entusiasta Vittorio Garda, Presidente dei Giovani Vignaioli Canavesani. E sì, forse non saremo ancora ai fasti dell’Ottocento, ma il “lutto viticolo”, grazie a questo nuovo moto rivoluzionario, pare essere finalmente terminato. “E’ fondamentale, però, che si parli del Canavese. E’ fondamentale farci conoscere”. Perché la chiave di volta è sempre tutta lì, nella comunicazione. Avrebbe, infatti, poco senso conservare segretamente uno scrigno; a lungo andare si rischierebbe solo di perdere la chiave. E allora manifestazioni come ReWine appaiono salvifiche per la promozione di un territorio come il Canavese e dei suoi vini. Giunta quest’anno alla sua seconda edizione la parola è, così, viaggiata sotto plurime espressioni: tra focus di degustazioni, press tour in vigna, storie di vita e viti raccontate direttamente dai produttori e storie di tradizioni culinarie raccontate dall’Associazione ristoratori della tradizione canavesana. Le prime parole sono quelle affidate ad Armando Castagno, che al Castello e Parco di Masino – bene Fai dal 1988 – ha regalato un fiume di cesellate nozioni, guidando una platea di giornalisti di settore lungo l’intero anfiteatro morenico e fornendo così una mappatura a dir poco certosina di tutti i comuni che, insieme, formano il Canavese. Come scopritori di terroir, in un viaggio di ben 14 referenze, Castagno – dall’Erbaluce al Nebbiolo – ha fornito le coordinate stradali per arrivare diretti lungo quelle colline plasmate dal ghiacciaio Balteo.
“I vini del Canavese sono vini morenici” aprendo, con queste parole, un interessante e quanto mai dibattuto argomento chiamato terroir. La cui definizione, in questa terra dell’Alto Piemonte, potrebbe essere così descritta: qui si coltivano i vitigni che ci sono sempre stati; si allevano i filari con i sistemi di allevamento trasmessi dalla memoria contadina; si aiuta il territorio a rimanere custode della cultura. In buona sostanza, qui ci si aiuta, non perché ci siamo necessariamente tutti simpatici, ma in virtù di un principio superiore: il territorio e una cultura da proteggere. Ma se non era per questi ragazzi che fine avrebbe fatto la memoria di questi luoghi? La memoria allora come patrimonio culturale per il vino, come viene ricordato, anche, nel convegno tenutosi, nella stessa giornata, al Teatro Civico Comunale Giuseppe Giacosa di Ivrea, aperto dall’intervento del Professor Attilio Scienza con uno sguardo rivolto al futuro del Canavese. Elementi, questi, resi poi palpabili e fruibili nella giornata di degustazione aperta anche al pubblico il giorno successivo presso i suggestivi Balmetti del Borgofranco d’Ivrea. Ed è proprio nei Balmetti – piccole cantine naturali, costruite a ridosso della montagna dove, grazie a uno strano fenomeno naturale, detto Ora, spirano correnti d’aria fredda – che abbiamo trovato i nostri migliori assaggi.
Erbaluce di Caluso Docg Scelte di Vite 2020 – Cantina 366
366 è il sunto numerico della storia di questa cantina, situata sulla morena sud orientale. Nata da 3 soci classe, appunto, 1966, oggi guarda con favore anche ai millennials con l’entrata in società di un energico giovane vignaiolo canavesano. L’Erbaluce di Caluso 2020 presenta un bouquet di buona intensità nel quale variegati profumi di fiori gialli spiccano su un sottofondo di note fruttate. Il sorso, di corpo medio-pieno e evidente sapidità, si distingue per l’equilibrio e la regolarità nella progressione.
Caluso Docg Vigna Crava 2020 – Gnavi Carlo
Nasce da una vigna di oltre 60 anni allevata a Topia (pergola canavesana), situata sulla cresta di una collina a circa 360 metri sul livello del mare e esposta a sud, che appartiene da sempre alla famiglia Gnavi. Prima di essere messo in vendita compie un lungo affinamento in bottiglia. All’olfatto rivela un’intrigante complessità fatta di fini note floreali, erbe aromatiche, frutta esotica a polpa gialla e una tocco salmastro dal timbro iodato, mentre in bocca è particolarmente incisivo grazie a una buona consistenza che trova slancio nella spinta acida dai toni citrini e nella decisa salinità. Lunghissimo il finale.
Carema Doc Sole e Roccia 2019 – Monte Maletto
L’azienda del giovane Gian Marco Viano è riuscita in poco tempo a farsi spazio nel cuore di molti appassionati grazie ai suoi vini che parlano di territorio, esprimendo un carattere unico che coniuga schiettezza con garbo e gentilezza. 95 per cento Nebbiolo (sottovarietà Picotendro e Pugnet) più un saldo di Ner d’Ala, il Carema Sole e Roccia matura in barrique usate per circa 18 mesi. Ci regala un naso intenso ed elegante di fiori, spezie con il pepe nero in evidenza, piccoli frutti rossi appena maturi, quasi aciduli e delicati sentori balsamici. Al palato è fresco, teso, fine nella parte tannica, lungo e decisamente minerale. Ben presente al retronaso la frutta rossa che si arricchisce di richiami agrumati. Evolverà per anni sviluppando tutto il suo potenziale. Terroir liquido.
Carema Doc 2019 – Sorpasso
Viene prodotto dal 2016 da una giovane azienda che ha cominciato a muovere i primi passi nel 2012. Composto per il 90 per cento da Nebbiolo Picotendro e per la restante parte da Ner d’Ala e Neretti, matura in botti di legno usato da 225 e 500 litri. Il calice regala finezze e vibrazioni olfattive concedendosi a note molto nitide e rifinite di rosa rossa e di violetta in un sorso pungente, dove la parte acida gioca in prevalenza e raggiunge, poi, in retronasale, a pari merito, una nota speziata. Setosi i tannini e lunga la chiusura.
Carema Doc L’Arsin 2019 – Cantina Togliana
E’ uno dei due Carema prodotti da Achille Milanesio, viticoltore inesauribile e appassionato che rappresenta la memoria storica di questi luoghi, custodendone la forte identità e tramandando le antiche tradizioni. L’Arsin 2019 appare nobile già nel colore, un affascinante rosso granato scarico. Ha un naso elegante, caratterizzato dal carattere quasi etereo di un frutto che appare soffuso tra sentori di erbe officinali, un tocco balsamico e un’evidente nota ferrosa. Vibrante, intensamente minerale, rifinito sul tannino, sapido e molto lungo il sorso. Un grande vino di montagna che vive di energia, non di volume.
Giallo di Chy 2021 – Valchyara
“Giallo di Chy” come il comune in cui si trova, appunto Val di Chy, situato all’ingresso della Valle d’Aosta. E’ un Erbaluce macerato che vinifica per metà in barrique e metà in cemento. Sentori di erbe aromatiche con il rosmarino in evidenza più un sottile cenno vegetale precedono un palato tendenzialmente rotondo che trova slancio in una vivace vena sapida. Pulito, equilibrato e piacevole.