Intervista al presidente. “La Docg non è un obiettivo. Albo vigneti chiuso e puntiamo a oltre sei milioni di bottiglie”
di Francesca Ciancio
Avere 20 anni. E avere la percezione di un bel futuro davanti a sé.
Il consorzio di tutela dei vini Doc Bolgheri festeggia il ventennale proprio con il 2014. Ha avuto come presidente il marchese Nicolò Incisa della Rocchetta per lunghissimo tempo e da poco più di un anno al suo posto c'è Federico Zileri Dal Verme, proprietario di Castello di Bolgheri e direttore di Tenuta Argentiera. La Doc ha dieci anni in più e, fatto curioso, nasce “bianca”. Ma qui il vino è rosso. La prima bottiglia di Sassicaia è del 1968, ma quello era un vino bordolese, non un vino di Bolgheri, nel senso che non esisteva una Bolgheri del vino. Oggi, alcune delle etichette più famose al mondo, vengono da qui, da questo pezzo di alta maremma: Sassicaia (l'unico vino italiano ad avere una Doc tutta per sé), Paleo, Masseto, Guado al Tasso. Ed è interessante guardare a temi “caldi” del mondo del vino come “identità” e “terroir” partendo da un posto come questo, dove tutto è in fieri. Meno di 50 aziende, quasi tutte consorziate. Nomi blasonatissimi arrivati dalla metà degli anni '90 in poi: Allegrini, Gaja, Fratini (per capirci, soci degli outlet McArthur Glen), Berlucchi, Folonari, Banfi. Accanto agli Incisa della Rocchetta poi ci sono gli Antinori e i Frescobaldi con Ornellaia. Gli antesignani – oltre a Tenuta San Guido – sono Michele Satta, Le Macchiole, Grattamacco. Le vigne più belle saranno quelle di domani (la stragrande maggioranza è ancora giovane), il rapporto vino-territorio è in costruzione, l'idea di dove sia Bolgheri ancora un po' vaga. Esiste un gap di riconoscibilità, ma il terreno su cui lavorare è senza dubbio “talentuoso”.
Presidente Dal Verme, bastano 30 anni di Doc per parlare di “identità”?
“Mi lasci dire innanzitutto che siamo fortunati. Il successo di Bolgheri non ha alcuna strategia alle spalle. Eppure siamo un piccolo “miracolo enologico”. Da cosa è dipeso? Credo da un'unità di intenti: siamo un gruppo di produttori molto unito e qui non si fanno pochi vini straordinari e molti mediocri. Al contrario, c'è un filo conduttore molto riconoscibile che lega le etichette più famose a quelle più sconosciute. Certo, abbiamo date che rappresentano l'inizio di una storia. Dal Sassicaia in poi sono state adottate sperimentazioni incentrate unicamente sull’uso di Cabernet Sauvignon abbinato a piccole parti di Cabernet Franc, il cui exploit definitivo avvenne a Londra nel 1978 con l’annata 1972, quando per la prima volta un Cabernet italiano vinse sui grandi Bordeaux francesi, in una degustazione alla cieca. L'arrivo di importanti imprenditori del vino ha delineato poi una continuità di paesaggio. Questa, ad esempio, è stata una nostra prerogativa: avere investitori che hanno portato a Bolgheri conoscenze in campo produttivo, commerciale e promozionale già solide”.
Come mai tanti bei nomi hanno scelto Bolgheri?
“Erano gli anni del boom della Toscana e qui i terreni andavano già molto cari, c'è stata dunque una selezione in partenza. Non tutti potevano permetterselo. Oggi fare un buon vino non è difficile, le difficoltà nascono dal riuscire a stare sul mercato, nell'avere una buona rete commerciale, nel promuoversi e Bolgheri, dalla fine degli anni '90, ha avuto ambasciatori preparatissimi abituati a girare il mondo”.
Lei ritiene che all'estero saprebbero indicare Bogheri su una cartina geografica?
“E' ancora un luogo più virtuale che reale. Bolgheri è Sassicaia, Ornellaia, ma i più non sanno cosa facciamo e quanti siamo. Credo che il grosso del lavoro del Consorzio debba essere quello di promuovere la parte restante dei produttori e con loro il territorio. Abbiamo portato tanto il nome in giro, ora vogliamo che siano le persone a venire da noi. Ne rimarrebbero incantati. I nostri sono rossi “mediterranei”: la presenza forte del mare, dei venti che fanno il giro delle colline rinfrescando l'aria, la temperatura media annua di 14 gradi, le dune e le sabbie che ritrovi nei vigneti, il ferro delle colline metallifere e la luce che qui è sempre abbacinante”.
Abbiamo dato un po' di date. Passiamo ai numeri.
“Parliamo di un territorio viticolo relativamente piccolo: 1250 ettari, di cui 1050 destinati alla Doc Bolgheri. Il vitigno principale è il Cabernet Sauvignon, seguito da Cabernet Franc e Merlot. Cresce l'interesse per Syrah e Petit Verdot, mentre il Sangiovese ricopre appena il 2 per cento della superficie. Al momento l'albo vigneti è chiuso. Ci sono piani triennali che consentono piccole aperture, ma facciamo attenzione anche per evitare speculazioni. Chiaro che richieste di acquisto non mancano, soprattutto da parte degli stranieri. L'export copre il 70 per cento delle vendite dei consorziati e crescono anche le bottiglie. Siamo passati dai 4 milioni e mezzo del 2012 al milione in più nel 2013. A regime potremmo arrivare a sei milioni e mezzo”.
Il vino qui ha una matrice francese come in nessuno altro posto in Italia, dove invece si fa un gran parlare dell'importanza degli autoctoni. Non vi ha creato dei problemi questo?
“La scelta di piantare degli alloctoni non fu e non è tutt'oggi casuale. Da sempre portiamo avanti sperimentazioni su questi vitigni che si sono dimostrati i più idonei. Inoltre ribadisco il concetto delle forti individualità presenti sul territorio. Non è il Consorzio a dettare regole e strategie, ma l'esperienza di ciascuno. E proprio questa è alla base delle modifiche del disciplinare, tra i più elastici esistenti. I tre vitigni principali possono essere utilizzati con una percentuale che va da 0 a 100, perché crediamo nelle singole interpretazioni. Non aveva senso tenere fuori dalla Doc vini come il Paleo o il Masseto. Non ci siamo fermati, portiamo avanti, ad esempio, lo studio sul Cabernet Franc per proporlo sempre più come monovitigno. Continuiamo a preferire le barrique. E se non lo facevamo per moda 20 anni fa, non lo facciamo oggi per essere controtendenza. Semplicemente riteniamo che siano più funzionali ai nostri vini”.
Puntate alla Docg?
“Affatto. Potremmo fare anche a meno della Doc. Sono i fatti a garantire la qualità del nostro prodotto. A Bolgheri non esistono cantine sociali né imbottigliatori”.
Prossimi passi del Consorzio?
“Puntare di più e meglio sulla comunicazione del territorio. Raccontando non solo il vino: ad esempio in pochi sanno che questa zona è famosa nel mondo per l'allenamento dei ciclisti professionisti che a gennaio – grazie al clima mite – preparano qui le loro gare. Si mangia bene ovunque, grazie al contributo di chef come Luciano Zazzeri (cuoco de La Pineta a Marina di Bibbona) che tanto ha insegnato ai ristoratori del territorio. Questo pezzo di Maremma ha un paesaggio dinamico, grazie al mare e alla luce che cambia in continuazione, così è per gli odori e i colori. Il resto della Toscana è più statico. Nonostante i tanti doppi cognomi e gli stemmi qui non c'è presunzione o spocchia, parlerei più di una compostezza formale, ecco”.