(Walter Massa e Lorenzo Dabove in arte Kuaska – ph Vincenzo Ganci)
E’ ancora Schigi a portarci nel mondo a cavallo tra vino e birra, quello delle Italian Grape Ale, le birre che appunto fanno da anello di congiunzione tra il mondo brassicolo e quello del vino. E’ anche l’ultima Master Class della giornata e la scaletta è piuttosto densa.
Il senso di queste birre, racconta Schigi, è che i birrai italiani sono nati e lavorano in mezzo ai vitigni, dunque queste birre non sono nate forzatamente, a tavolino, ma vengono da “dentro”. Lo stile è molto ecumenico e non ha rigidità produttive, lascia liberi i birrai di fare quello che gli pare, anche perché le birre sono nate prima della definizione dello stile. Dal sud della Sardegna ecco la BB9 di Barley (Alc. 9% Vol.), il birrificio fondato da Nicola Perra, che è anche il birraio e l’inventore, o forse lo scopritore, di questo nuovo filone di birre italiche. E nel calice accanto benché la birra usi uva sarda, ecco un incontro con un vino non sardo: la Malvasia delle Lipari di Caravaglio (12,5%). Perra usa la sapa di Malvasia nella sua birra e schiude parte delle sensazioni vinose da malti e luppoli. Molto più asciutto e minerale il vino al confronto con la birra, rotonda e piena, fruttata, intrigante. Con l’Inachis il gemellaggio sarebbe stato molto più centrato, ma l’Inachis è molto raro e Schigi voleva usare un vitigno locale (e presente poi a Taormina Gourmet). Occorre, dice Schigi, di non lasciarsi andare alla suggestione e alle sensazioni vinosi in questo caso. Eppure anche lui sente l’albicocca nella birra tipica della Malvasia, nonostante Perra usi la sapa, che chiede una lunghissima cottura.
Montegioco, piccolo paesino sulle colline tortonesi, in provincia di Alessandria, presenta la TiBir con uve Timorasso ed è proprio Riccardo Franzosi, il fondatore e birraio di Birra Montegioco a raccontare la sua birra e a introdurre Walter Massa, di Vigneti Massa (da Monleale, a dieci minuti da Montegioco) e il suo Timorasso, vitigno storico che proprio lui ha recuperato negli anni ’80. La scelta di usare l’uva, dopo aver anche sperimentato l’uso del mosto, è dovuto alla ricerca dei sentori del frutto e non solo del vino. Questo spiega le differenze tra i due bicchieri, birra intrigante e vino, che non credo che qui abbia bisogno di presentazione, strepitoso come sempre, con le sue note di idrocarburi eleganti (sì, è un ossimoro eppure….). La sapidità li rimette allo stesso piano all’assaggio. Provo un grande affetto per questa la birra, cui sono molto affezionato e tante soddisfazioni mi ha dato con amici che normalmente non bevono birra perché preferiscono il vino. Amo anche il Timorasso, in particolare proprio quello di Walter.
Il racconto di Riccardo lascia quasi subito spazio a Walter, che ben conosciamo come grande oratore. Affascinante e mi spiace fortemente per chi non era in sala ma davvero nessuno è in grado anche solo di riassumere quello che racconta, perché è il suo modo di raccontarlo che fa la differenza. E di strappi ne ha strappati parecchi. Occorre proporre a Sky la diretta per la prossima edizione.
E intanto appare qualcuno, senza scarpe, in salopette ad affettare il salame Nobile del Giarolo (in questo caso con uva Open Mind nell’impasto). E’ il Pigi, spalla di ogni importante successo sui colli tortonesi, ed esperto in cose della “nicchia” come i protagonisti dei colli tortonesi amano chiamare le loro valli. Valli ricche di uva, di birra, ma anche di maiali e di frutti meravigliosi (le ciliegie Belle di Garbagna, la fragola profumata di Tortona, le pesche di Volpedo) e di formaggi, anche storici come il Montebore.
A seguire ancora la coppia Walter e Riccardo, accomunati per l’uva Croatina. La birra è l’Open Mind, da Vigneti Massa la Croatina. Sempre uso dell’uva, sempre per cercare la nota del frutto, dell’uva prima che diventi vino insomma. Un’uva con una bellissima nota pepata che si ritrova tanto nel vino quanto nella birra. La Croatina è uva popolare, a lungo poco nobile per il mercato del vino. Oggi si inizia a recuperarlo e a dargli il giusto spazio. Vino o Birra, birra o vino, molto hanno in comune. La birra vince in facilità, il vino in complessità, ma è difficile scegliere e in entrambe il bouquet floreale è evidente e avvincente.
A fatica si rimandano a sedere Riccardo e Walter e si passa a parlare della Ruffiana del birrificio pugliese Birranova e il Bianco di Alessano. E’ Kuaska a prendere la parola per raccontare la crescita dei birrifici del Sud. La Croatina e la Open Mind hanno lasciato strascichi sul palato e la Ruffiana fa un po’ fatica ad emergere con le sue note speziate. Nel frattempo prende la parola Stephan Michel del birrificio tedesco Mahr’s Brau, non c’era stamattina causa ritardi dei voli, ma si prende uno spazio per raccontare il suo punto di vista su queste birre, da cui è molto incuriosito, strano per un birraio tradizionale tedesco, per cui una birra con aggiunta di spezie o altro (come l’uva) sono il diavolo.
Nel frattempo è ora di chiudere con l’ultima birra, l’Azabir del messinese Irias con lo Zibibbo passito di Baglio Oro. Fin qui i colori dei liquidi nei bicchieri non erano uguali ma si avvicinavano parecchio, ora la differenza è molto evidente, una birra ambrata verso un vino giallo paglierino tenue. La ricerca è ovviamente verso una birra da dessert, come racconta Fabrizio Blandi, il birraio e figlio del fondatore di Irias. Nei bicchieri una birra che gioca sul classico dolce da fine pasto, mentre il vino gioca su una bellissima secchezza tipica dello zibibbo di Baglio Oro. La birra inizialmente avrebbe dovuto essere un Barley Wine, ma se ne è discostata parecchio con le varie lavorazioni di padre e figlio.
Andrea Camaschella
ALCUNE FOTO DEL SEMINARIO (ph Vincenzo Ganci)