(Ampelio Bucci – ph Vincenzo Ganci)
“Se sa di Bucci sono contento”, si potrebbe sintetizzare in questa frase la filosofia che anima l’operato di Ampelio Bucci. Il “re del Verdicchio” è stato protagonista di una delle Masterclass più attese di questa edizione di Taormina Gourmet in cui sono stati confrontati tre vini base (Doc Verdicchio dei Castelli di Jesi Classico Superiore 2016, 2014 e 2012) e tre “Riserva (Doc Verdicchio dei Castelli di Jesi Calssico Riserva Villa Bucci 2007, 1997 e 1992).
“Per comprendere un vino – ha spiegato – è necessario partire dalla storia e dalla geografia di un territorio. Nelle Marche, in questo senso, ha svolto un ruolo molto importante la cultura mezzadrile. Oggi si parla sempre più di una cultura bassa delle cose che si fanno: la nostra era poverissima, ma comportava che i terreni fossero dei veri giardini”. Il produttore ha poi raccontato dei metodi di coltivazione delle vigne adottati dalla propria azienda, sottolineando come ciascuna di esse sia orientata in una direzione diversa. Poi ha parlato dell’attività di quest’anno. “Abbiamo avuto l’ultima pioggia il 27 d’aprile e non abbiamo visto acqua fino al 15 settembre. Il 2017 sarà una scommessa, ma il 2016 è un nostro punto d’orgoglio”.
LA DEGUSTAZIONE. Proprio il Verdicchio 2016 è stato definito durante la degustazione da Oscar Farinetti “il più buon Bucci giovane che ho bevuto nella mia vita”. In effetti i vini base da noi degustati si caratterizzano per una maturità che li rende estremamente maturi. Il 2014 in particolare esprime delle note che iniziano a farlo somigliare ai Riserva. Questi ultimi sono il vero fiore all’occhiello della degustazione, con una particolare eccellenza nel vino del 1992, ancora al limite sul piano della freschezza, che esprime una certa presenza iodata con note tostate, di nocciola e mandorla.
L’IMPORTANZA DELL’IMMAGINE E IL FUTURO. Nel raccontare la sua esperienza, Ampelio Bucci non poi ha mancato di confrontarsi con le esigenze del presente. “Quando ho iniziato la mia avventura non avevo dato peso all’immagine. Eppure provengo da una zona in cui la cultura estetica è la più bella di quelle rinascimentali”. A fronte della continua ricerca di creatività dei suoi concorrenti, il produttore ha deciso di approcciare un’etichetta classica. “È stata una vera scelta di rottura – spiega ancora – che è perdurata negli anni. L’aspetto più interessante è che col tempo abbiamo rimosso la dicitura Verdicchio e nessuno se n’è accorto. Ciò sottolinea l’importanza dell’immagine, che oggi rappresenta uno degli elementi più importanti, assieme al territorio. È su questo che devono lavorare i giovani”.
Giorgio Romeo
ALCUNE FOTO DELLA DEGUSTAZIONE (ph Vincenzo Ganci)
(Francesca Ciancio e Ampelio Bucci)