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Scenari

Il futuro dell’Etna del vino/23. Caciorgna: “Docg anomalia. Espandere la Doc? No”

10 Aprile 2020
Pietro_Caciorgna Pietro_Caciorgna

di Francesca Landolina

Il periodo storico che viviamo ci obbliga necessariamente a riflettere sul futuro, quello del vino per esempio, e chiaramente quello di grandi territori come l’Etna, di cui continuiamo ad occuparci attraverso le voci e i punti di vista di chi ha scelto di investire sul Vulcano.

Molti i produttori, non etnei e non siciliani, che stregati dal fascino della Muntagna hanno deciso di fare vini dell’Etna. Uno tra questi è Paolo Caciorgna, enologo toscano impegnato in diverse consulenze e nella gestione dell’azienda di famiglia a Casole d’Elsa in provincia di Siena. Caciorgna arriva sull’Etna nel 2006. “Non sono certo originale nel dire che vigneti e vini di queste zone sono affascinanti, ma le vere ragioni che mi hanno portato a decidere di produrre vino sull’Etna, oltre al mio grande amore per la terra, sono altre. Per prima cosa l’aver trovato una persona del luogo, Antonio Bordonaro, esperto e saggio, che mi ha aiutato e mi aiuta a gestire i vigneti insieme a dei bravissimi ragazzi. Poi la passione per una viticoltura che, più che altrove, necessita della presenza, del lavoro e della sensibilità dell’uomo. Infine, il riscontro positivo che, sin dall’inizio, ho avuto sui vini prodotti e che mi ha dato coraggio nel continuare un’esperienza non facile da gestire a distanza, in particolare in questo momento storico, in cui soffro per non poter essere presente”.

I produttori si interrogano sul futuro, in questa fase storica senza precedenti, ma prima ancora su come resistere alla tempesta che, se da una parte non ferma la natura, dall’altra pone molti interrogativi sul mantenimento dei costi di impresa. “Credo che in questo momento il futuro sia sopravvivere al presente – afferma Caciorgna – Se le aziende avranno la disponibilità finanziaria per affrontare le difficoltà del presente, potranno pian piano, giorno dopo giorno, trovare le giuste idee ed anche le risposte per ripartire e progettare un futuro, forse anche migliore”. E su quali sfide si giocherà il futuro, quello del vino italiano ed etneo? “Premetto di non avere una competenza così ampia ed una visione tale da dare formule o fare previsioni. Dal tipo di aziende che conosco, dalla mia piccola esperienza di produttore, credo prima di tutto che dobbiamo tenere alto il livello qualitativo, nel rispetto dei territori e della tradizione. Bisogna fare poi gioco di squadra con tutti i comparti, soprattutto quelli del proprio territorio, dal turismo alla ristorazione, dalla distribuzione alla comunicazione. Immagino un consumatore ancora più esigente ed attento a spendere, per questo dovremo mettere in campo tutta la nostra professionalità”.

Torniamo all’Etna e alle tematiche che spesso sono oggetto di riflessione per il futuro del territorio. Sui diritti di impianti Caciorgna non si dice restrittivo sul porre limiti dentro la Doc, al momento. “Premetto che non conosco così bene tutta l’area di produzione da poter esprimere un giudizio più compiuto, in ogni caso penso che, all’interno dell’attuale area Doc, ci siano molti terrazzamenti da recuperare e valorizzare. Talvolta sono occupati da olivi o addirittura sono divenuti bosco. In entrambi i casi potrebbero benissimo essere trasformati a vigneto. Si tratterebbe di un ripristino del paesaggio e non di uno sconvolgimento”. Ma su un’eventuale espansione della Doc prosegue: “Considerando il livello dei prezzi in circolazione e l’attuale situazione aggiuntasi a causa del blocco economico della pandemia Codiv-19, con rischio di scorte in cantina, non credo che tale ipotesi sia da prendere in considerazione”. Anche la valutazione su un’eventuale richiesta di ottenimento della Docg trova un parere sfavorevole da parte del produttore: “Ho sempre ritenuto le Docg un’anomalia. La Doc dovrebbe essere più che sufficiente a garantire la qualità ed il prestigio della denominazione, attraverso un piano di controlli adeguato sia in vigna che in cantina”. E continuando a parlare di controlli, in materia di politica dei prezzi, suggerisce un osservatorio. “Non sarebbe sbagliato crearlo: produrre vino di qualità sull’Etna è costoso”, afferma.

E a proposito dei vini. Chi ama il mondo del vino riconosce chiaramente la qualità, lo stile nel bicchiere, a volte la mano dell’enologo, ma l’identità del territorio etneo è sempre un comune denominatore per tutti i vini del Vulcano? “Se c’è qualcosa che contraddistingue i vini dell’Etna, parlo dei Rossi Doc, quindi a base di Nerello Mascalese – afferma Caciorgna – è la finezza unita ad una grande bevibilità. Credo che un territorio vasto e diverso come quello etneo, per forza abbia delle diversificazioni, ma un denominatore comune c’è. Sono convinto che i vini dell’Etna prodotti con uve Nerello e Carricante esprimano le caratteristiche di maggior finezza ed eleganza”. Si parla anche di promozione futura e di come organizzarla. “Conta la sinergia – dice Caciorgna – Il Consorzio dovrebbe preoccuparsi di promuovere e tutelare solo i vini Etna Doc in tutte le manifestazioni pubbliche a cui decida di partecipare. E ben venga una manifestazione propria del Consorzio che promuova la Doc Etna in sinergia con il territorio”. Adesso però è tempo di pensare al futuro e sicuramente a questa annata 2020 che “ha molte incognite, ma una certezza”, dice il produttore. “Indipendentemente dalle sfumature organolettiche dei vini, la ricorderemo, la cercheremo”. La riflessione sul futuro e su quali linee guida debbano guidarlo non è più rimandabile. “Immagino un futuro per l’Etna da protagonista nella lista dei grandi vini e delle eccellenze italiane nel mondo”, ma servono parole chiave per una strategia di successo. Tre per riassumere: piccolo, tradizione, sinergia. E ne spiega il significato: “Piccolo perché, essendo l’Etna caratterizzata da una proprietà molto frammentata, e spesso di piccole dimensioni, mi auguro che anche le istituzioni, in particolare la Regione, si spendano affinché anche i piccoli produttori etnei possano avere accesso ai fondi comunitari (come Psr per realizzare cantine), al momento riservati solo a coloro che hanno minimo 5 ettari di vigneto. Tradizione intesa come attenzione al territorio, attraverso una viticoltura che valorizzi i vitigni autoctoni, preservando i terrazzamenti ed avendo cura del paesaggio. Ed infine sinergia, insieme di vino, cibo, cucina, cultura, arte, paesaggio, ospitalità, turismo, comunicazione”.

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