di Francesca Landolina
L’Etna c’era, c’è e ci sarà. E in questo periodo difficile, parlarne è ancora più importante. Mentre la natura sul Vulcano rasserena, fioriscono le ginestre e le vigne raccontano quell’immutata bellezza che mai si ferma. Così, andiamo avanti ascoltando la voce dei produttori che ci parlano di un possibile futuro radioso da costruire.
“Oggi più che mai bisogna imparare a comprendere il valore della tutela del territorio – afferma Camillo Privitera, patron della cantina Primaterra a Randazzo, sul versante nord dell’Etna – Complessivamente abbiamo fatto e stiamo continuando a fare bene il nostro lavoro. C’è un sentire comune, seppur in presenza di esigenze diverse tra aziende grandi e consolidate e piccole proprietà di vignaioli. Mi rendo conto che è difficile cercare un equilibrio quando le esigenze di mercato sono diverse, ma c’è un fattore positivo che fa ben sperare: non c’è chiusura per la ricerca di questo equilibrio. Produttori e Consorzio dialogano”.
Ci sono sempre temi da affrontare, che a volte, dividono. Ampliare o no la nuova superficie di impianto? “Secondo il mio pensiero, bisognerebbe andare ad impiantare dove ci sono territori vocati. Non tutti i territori sono adatti a produrre bianchi, rossi e rosati. Non estenderei eccessivamente se si apre la corsa ad accaparrare terreni fuori zona Doc con lo scopo, forse, in futuro, di farli rientrare. Sull’Etna ci sono tuttavia zone fuori Doc che possono essere coltivate. Faccio qualche esempio. Se pensiamo al versante Nord verso la quota mille, coltiviamo Nerello Mascalese, Carricante in blend col Catarratto. A Sud del Vulcano, zona a cui si dà ancora poca importanza, oltre il comune di Biancavilla, il Carricante e il Nerello Cappuccio si esprimono al meglio. Ad Est, la terra regala grandi bianchi e rossi con vocazione spumantistica; in questa zona il Nerello Mascalese fa fatica a maturare, è poco esposto al sole e dona bei rosati e rossi di corpo leggero”.
“L’Etna, al di là del successo dei nostri giorni, richiede molti costi di produzione – prosegue – E per mantenere la sua importanza deve specializzarsi nella vocazione territoriale dei vini, valorizzando zone e vitigni. Andrebbe adottato insomma il modello Borgogna. Abbiamo la possibilità di farlo, perché qui è la natura che te lo impone, altrimenti si faranno buoni vini ma non grandi vini”. E proprio sui vini una riflessione va fatta in termini di riconoscibilità. “Assaggio centinaia di vini di diverse aziende, contrade, con diverse filosofie di produzione e riscontro una sola costante: l’identità del vitigno, che è forte. L’Etna ha il vantaggio di avere vitigni identitari. C’è identità nel calice. Oggi, quando si pensa alla riconoscibilità, si usano parole come “identità” e “territorialità”. Su quest’ultima ci stiamo lavorando e ci lavoreremo. Ma al di là delle diverse zone, delle diverse filosofie e delle diverse tecniche di vinificazione, i vitigni hanno identità, quindi c’è riconoscibilità. Solo pochissimi vitigni al mondo hanno questa caratteristica. Al momento è più difficile parlare di territorialità che di identità”, afferma.
E poi ci sono i costi del fare vino sull’Etna, altissimi, e di conseguenza i prezzi di vendita delle bottiglie. “Il rapporto qualità-prezzo è relativo, bisogna vedere come si conduce l’azienda, prima di dire che un prezzo è alto – afferma Privitera – La vigna, i costi del lavoro umano, le zone in cui produci, che possono essere particolarmente difficili (penso a contrada Sciaranuova nel mio caso) rendono difficile un discorso sul rapporto qualità prezzo. Qui la resa media è tra i 50 e 70 quintali per ettaro. Consideriamo anche il monte ore di lavoro e il logorio dei mezzi. Penso che i prezzi siano oggi adeguati. Se poi decidiamo che il mercato deve fare la sua parte, allora la faccia. Ma è incomprensibile pensare a prezzi più bassi. Per non parlare dei casi, assurdi, di una bottiglia venduta al supermercato a 4 euro circa. Mi chiedo come sia possibile. E come fanno a fare ciò che Madre Natura non ci permette di fare. Fenomeni!”.
Passiamo alla promozione dell’Etna del vino. In questo momento storico la macchina organizzativa è sospesa, come tutto il resto delle cose in Italia, ma ci sarà la ripresa e bisogna pensare al domani. “Per il futuro vorrei non solo eventi, ma un più ampio coinvolgimento dei soggetti del territorio, dai produttori agli addetti al settore dell’enoturismo e della ristorazione, per dare possibilità alle grandi aziende ma anche alle piccole aziende che fanno questo territorio grande. E aggiungerei iniziative che portino avanti le istanze dei piccoli. L’evento Contrade dell’Etna ha fatto un grande bene e seguirà con un’organizzazione più strutturata. A questo si aggiungerà l’evento istituzionale e per quest’ultimo mi auguro un dialogo tra il Consorzio e la Strada dei Vini e dei Sapori dell’Etna. Che non si arrivi con un progetto già impostato ma che si abbia la possibilità di esprimersi, tutti. Occorre coralità e buona comunicazione”.
E per concludere uno sguardo al futuro di questo territorio così unico. “Lo vedo positivo e legato alla nostra capacità di lavorare in termini di programmazione. Siamo stati felicemente coinvolti da un fenomeno di natura antropologica, senza precedenti. La natura fa il suo e ci dona un patrimonio di estremo valore, ma ora sta a noi governare l’unicità del territorio, con unione e coralità, trovando una sintesi tra le varie istante. Già gli intenti sono chiari e siamo sulla buona strada. Abbiamo fiducia e attendiamo la ripresa di ogni attività.”
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