I piedi nudi sembrano quasi sfiorare il manto erboso. La donna sta lì, elegante con una preziosa veste copre quasi interamente il suo giovane snello corpo, di un bianco latteo purissimo.
Bracciali d’oro e di pietre dure le cingono i gomiti e i polsi, mentre orecchini pendenti ne incorniciano il viso, prolungando la linea tracciata dalla capigliatura a caschetto, che evoca le mode della Belle Epoque. Il viso ritratto di profilo, le braccia sollevate verso l’alto a sorreggere un arco naturale fatto di spighe di grano impreziosite da gemme di molti colori. Un cielo di un blu profondo inquadra la scena, fuori dal tempo.
Da più di cento anni sta al piano terra del Palazzo Serenario, lungo la via Cappuccinelle che si allarga nella Piazza S. Anna. Di fronte al suo viso si innalza la facciata della Chiesa di S. Maria della Mercede, intorno a lei si dispongono le bancarelle chiassose del Mercato del Capo. Qui, nei primi anni del novecento, Salvatore Morello, un borghese che combinava senza incertezze abilità imprenditoriale e interesse appassionato verso le nuove esperienze dell’arte, aveva voluto realizzare una bottega di panificio diversa dalle altre già presenti nel mercato. Aveva chiamato per trasformare la sua idea in un’opera d’arte un brillante artista: Salvatore Gregoretti secondo alcuni studiosi, un componente della bottega di Pietro Bevilacqua o di Ernesto Basile secondo altri.
E’ indubbio comunque che il Panificio Morello sia stato progettato e realizzato con un’attenzione al particolare che puoi ancora a cogliere, se ti concentri ad esempio nell’ammirare la vetrina che, con il pannello della Demetra liberty, si affianca alla porta di accesso e si appoggia su un muro rivestito in marmi venati. E’ realizzata in mosaico anche la targa del negozio, Panificio S. Morello, a motivi geometrici incorniciati da fasce marmoree e motivi floreali. La scritta, realizzata in caratteri d’oro si staglia su una fascia di motivi vegetali su sfondo celeste che è inquadrata da due preziose cornici in azzurro, ritmate da motivi quadrati. Entrando nel panificio si poteva apprezzare il gusto liberty presente in ogni particolare e in tutti gli arredi, come il lampadario in metallo e vetro che da rosoni floreali in gesso si dispiegava a grappolo aperto in tralci floreali con foglie allungate. Ma a dominare la progettazione della bottega di questo colto borghese è senza dubbio il mosaico di facciata con “A Pupa ru Capu”, così è chiamata l’immagine di questa splendida ragazza: una Demetra che dall’antichità si è proiettata alle soglie del novecento, reinterpretata in forme liberty e impreziosita da citazioni di un'arte internazionale che spaziano dalle forme dello Jugendstil di Gustav Klimt alle composizioni in trencadis proposte nel modernismo catalano. Una bellezza rarefatta la sua, un’idea di trionfo della natura e della fertilità della terra da sempre avvolta dalla sua protezione.
Ma il tempo e l’incuria hanno fatto progressivamente impallidire ed offuscare questa bellezza, ed ora, da qualche mese, la sua immagine, che impreziosiva la vetrina del Panificio Morello nel Mercato del Capo, non accoglie più nessun visitatore. La bottega è chiusa, forse per sempre. La crisi che soffoca giorno dopo giorno le fasce deboli della popolazione e fa interrompere per sempre, una dopo l’altra, attività commerciali che hanno reso viva Palermo, non risparmia neanche i luoghi della memoria culturale della città. E, cosa ancora più preoccupante, tutto accade in una sonnolenta indifferenza o, al massimo, in un cupo fatalismo.
Se da turisti si va a Barcellona una tappa della visita sarà molto probabilmente, alla Ramba de les Flors, il mosaico di facciata e l’arredo modernista della Pasteleria Escriba, così come, visitando Porto, ci si spingerà fino alla Rua des Carmelitas per ammirare le linee avvolgenti dell’arredo in legno della Livraria Lello. Sono entrambe luoghi incancellabili, da coccolare con orgoglio, perché tappe irrinunciabili dell’identità culturale di città che hanno dimostrato di essere ben attente nei processi di trasformazione urbana che le hanno attraversate a non sacrificare le loro memorie più preziose.
Tutto questo non è accaduto qui a Palermo. E non si coglie alcun segnale che si intenda tornare sui propri passi e ovviare a questo colpevole oblio. Nel 1991, con un ritardo di alcuni decenni, la Soprintendenza Beni Culturali e Ambientali aveva apposto al Panificio il vincolo monumentale, costruendo in tal modo i presupposti per una sua adeguata conservazione. Eppure vent’anni dopo la bottega con il suo mosaico era stata inserita dall’Assessorato Regionale Beni Culturali nell’elenco dei luoghi dell’identità culturale della regione, sui quali costruire il progetto di sviluppo di un turismo colto, tra i luoghi del gusto, “gli spazi fisici che rappresentano le esperienze culturali di maggiore significato nel campo della storia del gusto in Sicilia”.
Si era provato con un cantiere studio ad intervenire sul mosaico di facciata per restaurarne le parti mancanti, ma tutte queste azioni sono risultate inutili. Se “A Pupa ru Capo” ha cessato di essere importante per chi le vive intorno, ho voluto verificare che la bottega Morello fosse ancora ben conosciuta nel mercato, chiedendo indicazioni per trovarla, ed il risultato è stato sconfortante. Una sequenza di visi inespressivi o di muti dinieghi, fino all’appassionato suggerimento su come arrivare da parte di un anziano venditore. La tenda di un venditore che sta a fianco del panificio è stata tesata in modo tale da tagliare in due la visione del pannello musivo, alcune tessere in pasta vitrea sono state frantumate dai tiri di pietre di ragazzini dalla piazza antistante, molte altre parti del pannello sono da lungo tempo con lacune. Non può meravigliare quindi che i turisti, che sempre più frequenti fanno reportage fotografici “di colore” del mercato, ignorino sistematicamente una delle gemme più preziose di questo mercato.
E che dire allora del fatto che non solamente è in totale abbandono il Panificio Morello, ma lo è anche il sovrastante Palazzo Serenario, un edificio di una più che dignitosa esecuzione barocca che è stato l’abitazione di un importante pittore del primo settecento? Quel Gaspare Serenario cresciuto nella bottega del Borremans, maturato a Roma dove ha fatto parte dell’Accademia dei Virtuosi del Pantheon, e si è infine affermato a Palermo dove è stato autore di ottimi affreschi. A guardare tutto ciò ci si rende conto che la strada per Palermo Capitale europea della Cultura può divenire ancora più impervia e difficile, se si vanno perdendo per strada importanti tappe della propria memoria.
Roberto Garufi