(Aurora Rainieri)
È scomparsa stamattina la giornalista e nostra collaboratrice Aurora Rainieri. Per noi è una giornata molto triste. Ricordiamo il suo carattere mite, la sua prosa elegante e la sua instacabile curiosità. Ai familiari le nostre più sentite condoglianze. Ci piace ricordarla con un suo articolo in cui raccontava i suoi disagi da celiaca, una bellissima testimonianza. Molto più che un articolo.
di Aurora Rainieri
Non ricordo l’ultima volta in cui ho mangiato la pasta, anche se per approssimazione posso dire che era il mese di agosto dell’anno 2008, più o meno tra il giorno undici e dodici. In quei giorni ho scoperto la mia intolleranza al glutine, perciò il medico, viste le analisi, mi disse di evitare nel dubbio, l’assunzione di cibo contenente farina di grano. La calda giornata agostana e quelle cifre nero su bianco, mi lasciarono interdetta. “Pure questa” ho detto tra me e me o forse ad alta voce al medico. Un altro peso si aggiungeva al gravame della mia esistenza, caratterizzata da cattiva salute e in quel periodo, da un malessere generale che era il frutto o l’origine di questa nuova condizione. La speranza però, era stata affidata all’esito di una gastroscopia che certamente avrei dovuto effettuare. Mi ero sempre rifiutata all’idea di farla, ma pur nella sua intollerabilità essa rappresentava in quel momento, una prospettiva positiva possibile.
Non ricordo cosa accadde nei giorni a venire, né quello che intercorse tra l’evento traumatico dell’esame gastroenterologico e il verdetto finale che scriveva “compatibile con malattia celiaca”.
Il malessere continuava nonostante l’insolita e insopportabile dieta che mi privava di pane e pasta e di tutto quello che fino ai miei quarantadue anni, aveva rappresentato la mia principale alimentazione. Non sono nata certamente in Cina o in Giappone, amavo il pane quanto la pasta, la pizza e i biscotti, le torte e i grissini, insomma cosa mai poteva essere accaduto se il cibo in tutti quegli anni era riuscito a farmi andare avanti e improvvisamente risultava incompatibile con i miei villi intestinali? Il mio umore peggiorava e la salute non migliorava. Tutti dicevano non è la fine del mondo, basta solo mantenere la giusta alimentazione e il problema è risolto. Macchè risolto, si trattava di una condizione irreversibile e io la sentivo come una piccola morte. Qualcosa che mi privava per sempre di qualcos’altro, era un passo inevitabile verso la morte. “Mangerai cose qualitativamente migliori” diceva la mia amica. Ma chi se ne frega – pensavo io – se passando davanti a un panificio non avrei potuto più cedere alla tentazione di mangiare un pezzo di pizza profumata.
Cominciarono così le ricerche, le informazioni, i contatti con altri “intolleranti”, i negozi dove rifornirsi di cibo adatto, gli aspetti burocratici con il ministero della Salute. Cos’altro desiderare? Comunque bisognava andare avanti senza soffermarsi troppo sul proprio ombelico. “Non è una tragedia, prima o poi ti abituerai, non devi prendere neanche medicine!” Già, ma la pasta al dente? Il pane di paese? Le spaghettate con gli amici? Cambiare cambiare, la vita è in continua trasformazione d’altro canto ogni attimo non è l’ultimo di quel tipo che viviamo? Chi sapeva di dare l’ultimo bacio a un uomo infedele, di non incontrare mai più il fratello partito lontano, la zia d’America, quegli amici conosciuti in vacanza con la promessa di rivedersi, il compagno di scuola emigrato al nord, chi di non trovare più un numero di telefono, di indossare quell’abito tanto carino, di avere tutti i capelli neri, chi di avere per sempre una cicatrice, di non prendere mai più un aereo, chi di perdere un orecchino, chi di non salire mai più quelle scale, di raccogliere l’ultimo frutto da un albero già secco, di non immergersi più nell’acqua del mare, chi di non sentire più l’abbraccio del padre, di fumare l’ultima sigaretta, di vedere da lontano senza gli occhiali. Insomma, vivere ogni attimo come fosse l’ultimo per poterlo ricordare, era questo ciò che bisognava fare.
Se avessi gustato l’ultimo boccone di quella pasta come fosse stato l’ultimo non l’avrei certo dimenticato, non avrei oggi il probabile ricordo di un piatto consumato a pranzo in una calda giornata d’estate, di cui non rammento il profumo, il gusto, l’aspetto. Il fatto è che la mente sarebbe troppo ingombra se dovessimo davvero ricordare tutto e forse nessuno di noi è così capace di contenere tanta esistenza sempre vivida come nel momento in cui la viviamo. Succede allora che dimentichiamo, che lasciamo stratificare il tempo del nostro passaggio come se ci fosse sempre la possibilità del domani, come se potessimo in qualsiasi momento ripescare ciò che ci serve, fare quello che non abbiamo fatto, riprovare sentimenti che non sentiamo più. E intanto invecchiamo, la mente o il corpo ci nega ogni giorno qualche possibilità, senza lasciarne a volte nemmeno la consapevolezza. Niente di ciò che è stato può tornare a essere come prima, questa è la fortuna e la dannazione di noi umani e anche se spesso siamo tentati di fermare il tempo per prolungare il piacere che gli eventi ci arrecano, sappiamo che sarebbe intollerabile poterlo fare in eterno. Dunque, oggi mangio riso integrale e prodotti realizzati con farine senza glutine. Se vado al ristorante o mangio fuori casa, informo i camerieri e gli ospiti della mia intolleranza e così tutto è risolto. Ho dimenticato il gusto del pane caldo con l’olio, degli spaghetti di grano duro sempre al dente, della pizza appena sfornata. E quando mi prende la malinconia, penso a tutte le cose piacevoli che ancora posso fare per farle durare in attimi infiniti.