Angelo Gaja: “Giorgio ce l'ho nel cuore. Lunedì sarò al suo funerale, ma non applaudirò. Odio gli applausi ai funerali. Tengo il dolore riservato, per me”
(Giorgio Grai – ph DoctorWine)
Giorgio Grai, uno dei più grandi enologi della storia del vino italiano non c'è più. E' morto, ad 89 anni, dopo una breve e devastante malattia.
Lui non era un semplice enologo. Lui era quasi una divinità del vino. Riusciva a giudicare un vino solo semplicemente annusandolo. Esprimeva il suo giudizio (che talvolta non dava scampo nemmeno ai più grandi) e appena lo assaggiava confermava quanto detto. Per molti era scontroso, burbero, severo. Ma in realtà Giorgio Grai era sempre aperto al confronto, pronto a farsi stupire se nella degustazione entravano stimoli alla curiosità, alla fantasia che solo il vino migliore riesce a suggerire. Ieri si è spento circondato dall'affetto dei suoi cari nella “sua” Bolzano. Lui è stato una sorta di papà per gli enologi di oggi. Nessuno lo dimenticherà e chi ha avuto la fortuna di incontrarlo, racconterà per sempre i suoi aneddoti e le sue lezioni. Che non erano solo lezioni sul vino, ma anche lezioni di vita. La sua carriera inizia negli anni '60. Giorgio Grai girovagava per le cantine sociali della regione, annusava, criticava, si fidava solo del suo naso. E sceglieva le botti migliori. Vini bianchi, anzitutto. Perché lui era sicuramente il “bianchista” migliore d’Italia. Basta assaggiare certi Pinot bianco che lui proponeva in bottiglie con l’etichetta Bellendorf, vini di oltre 50 anni ancora perfettamente vitali, indimenticabili. La sua caparbietà enologica, la sua competenza lo ha portato a giocare davvero in trasferta. Il suo sapere enoico ha stregato personaggi del vino di stampo monumentale. Uno, Andrej Tschelistcheff, origini russe, il “padre” della viticoltura californiana della Napa Valley, assaggiando un vino di Grai s’inginocchiò, ritenendolo uno dei migliori mai bevuti.
Abbiamo provato a contattare Angelo Gaja per farci raccontare qualcosa sull'enologo: : “Giorgio ce l'ho nel cuore. Lunedì sarò al suo funerale, ma non applaudirò. Odio gli applausi ai funerali. Tengo il dolore riservato, per me”.
Il palmares di Grai non ha limiti. Un suo Pinot conquistò i Tre Bicchieri del Gambero Rosso sulla prima edizione della guida vini, uno dei mitici 33 migliori vini d’Italia. Lui è il promotore di uno dei primi e più famosi wine bar, l’Edy, quello di piazza Walther a Bolzano, uno scrigno enologico che ancora custodisce bottiglie griffate Grai. Dove artisti, architetti, scrittori e ogni appassionato di vino si sono dati appuntamento, per simposi tutti da vivere. Con Luigi Veronelli, con tanti vignaioli, nostrani e non, molti purtroppo mancati. Giudicava, suggeriva pietanze e tecniche di cottura. Lo aveva fatto anche a New York, con un suo storico amico, Sirio Maccioni, il patron de “Le Cirque”, con il quale aveva condiviso giovanili esperienze culinarie a bordo di fascinose navi da crociera. Fino alla fine è andato in giro per le cantine italiane. Cercava sempre il confronto e suggeriva soluzioni soprattutto alle aziende del Friuli che era diventata la sua seconda casa. Adorava, però, anche le Marche, la Puglia, il Piemonte e la Puglia. Per non parlare dell'Alsazia. Lui era innamorato dei vini bianchi longevi. Tanto che li proponeva quasi fossero rossi della Borgogna. Ora di lui rimarranno alcune bottiglie custodite gelosamente da chi le possiede in cantina.
C.d.G.