Si è spenta stanotte all’una Francesca Colombini Cinelli nella sua casa di Montalcino all’età di 92 anni.
E’ stata una delle prime e più intraprendenti produttrici del Brunello e una figura di spicco di tutta l’imprenditoria enologica italiana, pioniera del vino al femminile. Pubblichiamo di seguito quanto scritto dalla figlia, Donatella Cinelli Colombini.
di Donatella Cinelli Colombini
E’ sempre difficile dire addio alla propria madre, anche quando il deperimento fisico ha progressivamente compromesso la sua mente fino ad allontanarla dalla realtà e a farla parlare a monosillabi. Fino a pochi mesi fa, durante le mie due visite settimanali, riuscivo a interessarla a libri, foto, oggetti che raccontavano il passato. Poi ho visto che faceva fatica a seguirmi allora le portavo delle cose dolci da mangiare e infine dei gelati per i quali mostrava un vero entusiasmo. Da una quindicina di giorni la situazione era ancora peggiorata fino all’arrivo di un catarro che ha compromesso la sua respirazione e il suo fragile equilibrio. Vederla morire pian piano è stato triste e sicuramente non è morta come voleva, da comandante sul campo. Un destino che lei ha fatto fatica ad accettare e spero la porterà nel paradiso in cui ha sempre creduto. Ancora non mi sento di scrivere su di lei, e quindi riporto qui le note che ho pubblicato in occasione del suo novantesimo compleanno.
Mia madre Francesca è nata a Modena il 9 marzo 1931, dove suo nonno, Pio Colombini, insigne dermatologo, era rettore dell’Università. Un ruolo prestigioso, nel secondo più antico ateneo italiano (che Pio Colombini riempì di lapidi autocelebrative), e in una città piccola ma colta e ricca, che tutta la famiglia visse molto felicemente. A riprova di questo sentiment, mia madre, ha appeso in camera da letto, la foto dell’edificio dove nacque, ma ricorda con una punta di orgoglio “nella casa di Montalcino arrivò la corrente elettrica prima che in quella di Modena”. Del periodo emiliano è rimasto, in famiglia, un amore sviscerato verso i tortelli fatti a mano. Figlia unica, mia madre è stata educata quasi come un uomo: andava a caccia e sapeva guidare trattori e camion. Prima e durante la seconda guerra mondiale, mio nonno Giovanni Colombini la rendeva partecipe di tutto ciò che avveniva. Gran parte dei suoi ricordi sono raccontati nel libro intitolato “Il vino fa le gambe belle” (2005). Una narrazione che riguarda anche la successiva metamorfosi di Montalcino da borgo rurale florido e guerriero in insediamento povero a causa dell’esodo delle campagne e infine nelle città del Brunello.
LA GUERRA E IL SOGGIORNO A FIRENZE
Il soggiorno a Montalcino di mia madre si interruppe nel dopoguerra con una lunga residenza a Firenze, città a lei molto cara. Qui ha frequentato l’ Istitut Français di Firenze, una scuola superiore dove lei acquisì una padronanza della lingua che ha mantenuto tutta la vita. Viveva nella “Casa di Boccacio” dove ora abita mia figlia Violante con il marito Enrico. Nella cappella di questa residenza mia madre si è sposata con mio padre Fausto Cinelli nell’autunno del 1952 e qui siamo cresciuti io e mio fratello Stefano, prima del trasferimento a Siena che coincise con la morte di mia nonna Giuliana, adorata moglie di Giovanni Colombini.
LA FATTORIA DEI BARBI
Fu in questi anni che mia madre iniziò a lavorare alla Fattoria dei Barbi andando avanti e indietro, ogni giorno, con una Fiat cinquecento bianca. La ricerca di alternative all’agricoltura mezzadrile del passato fu un’impresa che mio nonno Giovanni e mia madre Francesca vissero insieme con fatica, tenacia e creatività. Lui, estroverso e cresciuto fra gli accademici, amava circondarsi di intellettuali e aveva un approccio più colto e visionario. Lei pragmatica e dotata di un’eccellente capacità organizzativa (lei, io e mia figlia Violante siamo dislessiche, una disabilità che diventa un punto di forza per i managers) si dedicava al lavoro operativo. Mamma Francesca sfuggiva le occasioni sociali amate da mio nonno per cui ero soprattutto io ad accompagnarlo. Questo mi dette modo di capire il cambiamento di considerazione verso il vino e il lavoro della terra così come mi insegnò a progettare mescolando lungimiranza e concretezza. Credo di aver avuto la mia vera formazione professionale proprio in quei viaggi. Mia madre Francesca e mio nonno Giovanni, insieme, misero le basi dell’azienda attuale trasformando le piccole attività di cantina, caseificio, salumeria e ristorazione, nel prototipo dell’attuale agricoltura polifunzionale che sa affrancarsi dall’industria agroalimentare e parte dai campi per arrivare sulla tavola dei consumatori. Un anticipo di quasi cinquant’anni al progetto europeo Farm-Fork. Dopo la morte di mio nonno Giovanni Colombini, nel 1976, mamma ha guidato la Fattoria dei Barbi da sola per oltre vent’anni dando alle cantine un mercato e una reputazione internazionali. Se mio nonno aveva avuto le intuizioni, fu lei a creare le strutture produttive con muri ed impianti.
LA VECCHIAIA E L’ADDIO
Il passaggio generazionale con noi figli, nel 1998, è stato lungo, costoso e doloroso. Ora mio fratello Stefano guida la Fattoria dei Barbi ed io ho creato un mio progetto che comprende il Casato Prime Donne a Montalcino e la Fattoria del Colle a Trequanda. Mia madre ha combattuto per anni con una osteoporosi che le ha causato continue fratture e ha compromesso irrimediabilmente la sua mobilità. Per una persona che ha messo il lavoro in azienda al centro delle sue giornate è stato difficile delegare le responsabilità e poi ridurre i suoi rapporti con l’esterno. Limiti che lei ha cercato di superare fino allo scorso anno quando uno scompenso cardiaco l’ha veramente prostrata. Ora vive in modo sereno, ma lamenta la noia di una vita troppo uguale e troppo casalinga. Covid permettendo, sono andata a trovarla finchè non sono rimasta bloccata anch’io con una gamba rotta. A queste parole scritte nel 2021 aggiungo solo una nota di saluto, di gratitudine e rimpianto verso una donna forte e coraggiosa a cui noi figli, i nipoti, il Brunello e tutto il vino italiano devono molto.