Da oggi Trentodoc – marchio territoriale collettivo riferito al metodo classico trentino – può vantare una carta di identità che certifica la sua origine, grazie ad una serie di analisi chimiche e molecolari assolutamente innovative.
Il progetto ”Nuove metodologie analitiche per la tracciabilità geografica e varietale di prodotti enologici”, durato tre anni, ha visto il coordinamento dell’Università degli Studi di Modena e Reggio Emilia, la partnership con la Fondazione Edmund Mach e il Ministero delle Politiche Agricole e Forestali.
“Si tratta per l’Istituto di una certificazione che permette a Trentodoc di rafforzare in modo indiscutibile la sua origine e la sua identità – ha detto Il Presidente dell’Istituto Trento Doc, Enrico Zanoni-. La ricerca mette infatti in evidenza elementi, fino ad oggi inesplorati, che rendono oggettivo il legame fra il territorio e le bollicine trentine che, oggi più di ieri, si possono definire di montagna”.
Sviluppato nell’ambito della piattaforma AGER – Agroalimentare e Ricerca, iniziativa per la ricerca scientifica in ambito agroalimentare sostenuta da un consorzio di 13 fondazioni bancarie italiane, tra cui la Fondazione Cassa di Risparmio di Trento e Rovereto, il progetto ha preso in analisi il Trentodoc dalla filiera, al campionamento esteso delle varie case spumantistiche.
Con un totale di 200 campioni analizzati tra suoli, tralci, mosti e vino, lo studio ha permesso di dimostrare oggettivamente il legame tra vino e territorio di origine, in questo caso la montagna, utilizzando diversi possibili marcatori.
“Ringrazio sentitamente sia le fondazioni che hanno sostenuto la ricerca, il Ministero, l’Università degli Studi di Modena e Reggio Emilia – ha detto Zanoni -. In particolare la Fondazione Mach, che ogni giorno conferma il suo ruolo di leadership nella conduzione di ricerche innovative, a vantaggio e supporto di tutto il mondo vitivinicolo”.
“La Fondazione Mach è particolarmente coinvolta in questa iniziativa che vede un prodotto del territorio oggetto di tante ricerche e valutazioni che consentiranno di estendere all'intero settore vitienologico l'opera e competenze umane e tecnologiche di assoluto rilievo”, ha deto Mauro Fezzi, direttore generale FEM.
Lo studio ha fatto coprire che:
- Il profilo dei minerali e i rapporti isotopici rimangono inalterati nel passaggio terreno-pianta fino all’uva e al prodotto finito e cambiano a seconda del territorio. Il vino memorizza attraverso questi marcatori le informazioni geografiche e di composizione del suolo del territorio di origine. D’ora in poi sarà quindi possibile capire con esattezza dove è stato prodotto un Trentodoc semplicemente effettuando queste analisi;
- Mediante tecniche di gascromatografia bidimensionale accoppiata a spettrometria di massa è stata indagata la complessità aromatica del Trentodoc e visualizzata per la prima volta nella sua intera ricchezza: 196 composti, sui quasi 2000 rilevati (prima ne erano conosciuti “solo” 700), caratterizzano e rendono unico Trentodoc rispetto agli altri metodi classici. Differenzianti sono i terpeni, sostanze varietali aromatiche legate all’uva, che si formano con le escursioni termiche durante la maturazione dell’uva, tipiche del clima trentino;
- La ricerca ha permesso di scoprire che il DNA del vitigno risulta estraibile e analizzabile non solo dalle viti e dall’uva ma anche dagli intermedi di lavorazione enologica. Questo perché sono stati messi a punto dei particolari sistemi di identificazione varietale basati sull’ analisi dell’intero genoma.
C.d.G.