Giornale online di enogastronomia • Direttore Fabrizio Carrera
Lo studio

“Vino negli Usa, tendenze e consumi”

30 Maggio 2012

La ricerca nella tesi di laurea di un giovane produttore siciliano 


Benedetto Alessandro 

Benedetto Alessandro è figlio di uno dei titolari della cantina omonima di Camporeale, nell’alto Belice in provincia di Palermo.

Fresco laureato in economia e marketing nel sistema agro-industriale presso l’università di Bologna, Benedetto ha scelto un lavoro di tesi che analizza il momento d’oro che sta vivendo il mercato delle esportazioni del vino italiano in America. Negli Stati Uniti in particolare. E dai dati della tesi emerge un dato significativo: gli americani preferiscono il vino italiano a quello francese. Ma non ricavano dalla vendita del vino, quanto dovrebbero. Ma facciamo ordine.

L’export di vino, tenendo conto dei dati forniti da Assoenologi, negli anni 2005-2010 è aumentato in maniera incredibile, facendo fatturare alle aziende cifre vicine ai 4 miliardi di euro. Nel 2005 erano circa tre miliardi. Le esportazioni, in questi cinque anni, sono passate da 15,6 milioni di ettolitri a 21,7 milioni. Ma il prezzo mix, cioè il prezzo in euro per litro di vino, nel 2010 ha visto un incremento solamente per il vino imbottigliato rispetto all’anno 2009 che è passato da 2,38 a 2,50 euro/litro crescendo così del 5%.

Per il vino sfuso e per gli spumanti si è registrato invece una riduzione rispettivamente del 9,2% e del 5,4%. Scorrendo i dati della tesi di Benedetto, risalta all’occhio subito un dato molto particolare. Ossia che l’Italia è stata nel 2010 il secondo Paese esportatore di vino in termini di valore dopo la Francia e prima della Spagna e dell’Australia. Risulta invece primo considerando i volumi di vino esportati seguito da Spagna, Francia e Australia. In pratica ha esportato di più, ma guadagnato di meno.

“Gli Stati Uniti rappresentano il mercato leader dove viene commercializzata la quota maggiore di vini italiani in bottiglia in termini di valore – dice Benedetto -. Nel 2010 è stato esportato negli Stati Uniti vino Made in Italy per un valore di 731 milioni di euro. Dal 2005 i valori di vino esportato negli Stati Uniti hanno subito delle leggere fluttuazioni, sia in positivo che in negativo, ma comunque è stato da sempre il Paese cui è destinata la maggiore quota di vini italiani”. Rispetto al 2009 è stato registrato un incremento in valore del 9,7%. I valori delle importazioni di vino negli Stati Uniti hanno visto nell’ultimo decennio un grande incremento passando da 2,2 miliardi di dollari del 2000 a 4,2 miliardi di dollari del 2010. E se l’Italia ha migliorato queste cifre, la Francia in questi dieci anni ha avuto un tracollo, passando da una quota a valore di quasi il 45 % nel 2000 al 24 % del 2010.

“È intuibile come gli Stati Uniti possano essere destinati a diventare leader mondiali per il consumo di vino – dice Benedetto – Hanno una dinamica demografica molto superiore agli Stati dove viene commercializzato il vino italiano in questo momento. Ed anche se il consumo procapite è relativamente ridotto, con 10 litri all’anno per persona, sono sicuro che è destinato ad aumentare”.

Rimane il problema distanza: “Vista l’organizzazione della filiera che crea uno “schermo” tra l’azienda vinicola e i clienti del distributore, è comprensibile come la nostra azienda possa avere delle difficoltà nella conoscenza degli altri clienti intermedi – spiega Alessandro – Di conseguenza è comprensibile come l’azienda in questione possa avere soltanto poche informazioni disponibili per l’attuazione di efficaci ed efficienti strategie di marketing. La mia ricerca ha cercato di realizzare un database che supporterà i dirigenti delle aziende committenti nelle decisioni di marketing”.

Ma perchè il vino italiano piace agli americani? “Per vari motivi – conclude Alessandro – E nella mia tesi li ho elencati in ordine decrescente di importanza: la caratteristiche organolettiche dei vini, la sicurezza dei prodotti, la costanza nella qualità della produzione, la professionalità degli addetti ai lavori, il prezzo dei vini, il rispetto per l’ambiente, l’assenza di difetti nelle bottiglie, la rappresentatività del territorio di produzione ed il packaging. Ultimo è il brand aziendale”. 

Giorgio Vaiana