Walter, qual è il bilancio del 2020, anno del Covid? E le tue valutazioni sulla vendemmia?
“Dopo oltre 10 mesi di Covid, con alcuni, quelli estivi, meno intensi, e questa ripresa di fine anno di massima intensità e senza certezze, risulta d’uopo cambiare il modo di ragionare. Sicuramente il ragionare, e non lo sragionare, avrà grande importanza sull’approccio del mercato, direi meglio “mercati”, per il futuro. Già a marzo, la parola d’ordine in azienda, pur con la chiara visione del cambiamento epocale a cui andavamo incontro, è stata “facciamo finta di nulla”. Poco è costato con 30 ettari di vigna accettare questa scelta, dovendo accudire le viti per ottimizzare il raccolto, gestire i vigneti per tutelare gli investimenti e conseguentemente il patrimonio. Abbiamo così confermato gli estremi del patrimonio e la certezza dei salari consci dell’incertezza degli incassi, attuando l’unica cosa etica che si poteva fare: il mantenimento dei prezzi di listino e la collaborazione con maggior dialogo coi distributori, con le forza vendita, con gli importatori. Primo effetto positivo, nessun sciacallo mi ha rubato tempo con telefonate ed approcci inutili. L’agricoltura da millenni ha benefici essendo il primo indotto di quella magica cosa che è la vita. Covid o non Covid, tutti i giorni oltre 7 miliardi di persone dovrebbero mangiare, bere e pensare. Da ormai molti lustri l’agricoltura e l’agroindustria hanno preso due vie: c’è chi produce per far vivere l’uomo e chi invece produce per alimentare le funzioni nutrizionali e culturali. Fino a febbraio 2020, parlando di vendite, il mondo agroindustriale poteva far conto sia sulla grande distribuzione che sulla ristorazione, mentre, sempre a tal proposito, il mondo agroartigianale aveva come mercato principale soprattutto la ristorazione, enoteche e gastronomie specializzate. Oggi l’agroartigiano del vino, come di tutte le altre prelibatezze gastronomiche che si producono, deve cambiare modo di pensare, deve cambiare l’approccio ai mercati. Primo intervento sostanziale è fare arrivare tutto l’anno, e non solo nel periodo natalizio, come si fa da sempre sotto forma di regalie famigliari, personali e aziendali, le specialità gastro enologiche che avranno il privilegio di nutrire pancia e cervello”.
Come fai?
“Possiamo sfruttare il patrimonio dell’informatica, della telefonia e il rodaggio fatto precovid dei corrieri espressi, augurandoci comunque che tutte le attività commerciali tornino a dare il loro contributo alla filiera di appartenenza. In questa partita, non secondario sarà il ruolo della tracciabilità della spedizione e qualità degli imballi. Il contadino ha sempre la sua religione: 1^ comandamento: prima i soldi, poi la merce. E questo è possibile grazie ai bonifici anticipati. 2^ comandamento: ok i soldi in mano, ma se la merce non arriva a destinazione con rispetto di temperature, urti e tempi, il prodotto nonché il nostro pensiero artigiano sarà mortificato. Nessuna paura caro contadino, oggi i corrieri internazionali garantiscono tempi e rispetto della materia. 3^ comandamento: affidare prodotti rari a sconosciuti non ci ha mai premiato, troppi furti o finte rotture. Con il rischio che la refurtiva finisca in mani ignoranti, che perché merce ricettata, vada nel calderone del “costa poco, basta che respiri”. Anche qui caro contadino, ti viene in soccorso una materia che ti deve appartenere, la tecnologia, l’informatica. Oggi consumare un tuo prodotto a Modena o a Montreal, vale solo qualche euro in più di spedizione. Se sei geloso e curioso del percorso del tuo pensiero in giro per il mondo, lo puoi seguire e tracciare ogni istante. Riguardo la vendemmia 2020, che vuoi che ti dica di nuovo, se non una vecchia diceria delle mie parti, ossia: “quando nascono son tutti belli, quando si sposano sono tutti ricchi, quando muoiono sono tutti bravi, e le vendemmie sono tutte grasse, pure quelle magre”. Sarà il consumatore a dare le stelle alla vendemmia 2020, intanto sappiate che in Italia e nel mondo quantitativamente il prodotto 2020 è maggiore di quello del 2019”.
Qual è il bilancio delle annate precedenti. Tu che rapporto hai con le guide?
“Da sempre, da fine anni Ottanta, ho “usato” le guide per sapere e per far sapere cosa vale il mio pensiero, il mio lavoro e il patrimonio dei vigneti. Ho puntato alle guide per “tirare fuori il territorio” e per imporre il Derthona Timorasso ai sordi, meglio ai soloni; ho spronato i colleghi territoriali a dedicare mezza giornata al mese di giugno a far pervenire i campioni a più guide. Essendo conscio che, i vini di chi sprono valgono, come minimo, verranno pubblicati il numero di telefono e indirizzo e-mail; in questi anni ho avuto la soddisfazione che tra tutte le circa 50 aziende tortonesi, 18 aziende hanno avuto almeno una eccellenza. Per quanto mi riguarda, Vigneti Massa ha dato alle guide 2021 i campioni alle solite 6, e da 5 di esse ho avuto almeno una eccellenza. Niente male anche se da due anni manco il “grande slam””.
Come stai vivendo l’interesse del connubio Timorasso/Colli tortonesi che sta attirando sempre più grandi Maison del vino, soprattutto dalle Langhe?
“Con grande gioia ed orgoglio; aggiungerei anche con interesse e, se richiesta una chiacchierata per un travaso di esperienze, non la nego a nessuno. La gioia deriva dal fatto che nel Tortonese negli anni cinquanta avevamo 5.000 ettari di vigne e ora siano a circa 2.000, e io pretendo che il mondo vada avanti con profitto e non indietro, perché se ciò succede c’è un motivo. Il motivo va ricercato nel fatto che se con i miei colleghi non fossimo riusciti a fermare questa emorragia, significava che io ho sbagliato tutto ed il terreno e il territorio erano sbagliati, invece così è…l’orgoglio è nell’interesse a veder comunicato gratuitamente Derthona Doc in futuro e Monleale Doc da aziende storiche, etiche, di grande credibilità in tutto il mondo. Ma ci pensi che almeno il 95% dei comprensori dei vini Doc italiani vorrebbero legare un proprio vino alla potenza esplosiva e congiunta delle maison Roagna, Borgogno, Vietti, Oddero, Broglia, La Spinetta, Pio Cesare, VoerzioMartini?”.
Ed allora sei contento?
“Sottolineo fortemente che trattasi di cordata intellettuale e organolettica, essendo nata da quanto di buono abbiamo seminato noi aziende tortonesi dal 1987 al 2013, anche se questa favola sembra nata al tavolo di un bar di Alba o di Barbaresco, o di Barolo. Questa storia è figlia di un credo nelle potenzialità di un vitigno legato al suo territorio. Questa storia dimostrerà a un certo tipo di mondo che quasi tutte le leggi dell’economia non valgono per l’economia del vino, ossia che quando il mondo del vino che conta avrà bevuto e conseguentemente conosciuto il vino bianco Derthona Doc proposto dalle suddette Maison, pur aumentando l’offerta, tutte le aziende tortonesi potranno aumentare il listino del 15/25%, fino in alcuni casi al 200/300%, e vendere e non svendere il rosso da uva Barbera che ovviamente si chiamerà Monleale Doc, arrecando positivo ritorno economico e d’immagine alle colline e al paesaggio alessandrino. Se qualche illustre economista è in disaccordo con questa mia certezza, son certo gli darete spazio per contestare la mia certezza, argomentando le contrarietà”.
Lo sai che quando un territorio diventa un eldorado ci si tuffano tutti?
”Certo, dopo il sole il saggio contadino aspetta la pioggia, che ogni tanto si può trasformare in grandine, dopo questo folto gruppo di super aziende, e altre due di cui so che prossimamente ufficializzeranno il loro investimento in Derthona Hill, dobbiamo pensare alla legge dei grandi numeri, ossia all’arrivo di qualche furfante, faccendieri che anche nel mondo del vino operano e costringono tutti a evitare facili innamoramenti…e lì poco ci possiamo fare. Per ora abbiamo limitato con un apposito bando regionale, gli impianti per le prossime due campagne agrarie: vedremo di lavorare per chi prima di tutti ci ha creduto, ma né io, né i miei colleghi tutti, né il consorzio possiamo far da San Pietro, dicendo tu sì e tu no”.
Qualcuno non sarà d’accordo con questa tua visione…
“Per ora finché ricevo critiche, mi vanto e penso di continuare a poter essere il Walter Massa conosciuto: quello che negli anni Novanta era “matto” perché credeva, proponeva un vino da un vitigno abbandonato, quello che dal 2000 era “tonto” perché stimolava i vignaioli tortonesi a credere e investire nel Timorasso, invece di esserne il monopolista, quello che negli anni 2010 era un “traditore” perché invece di frenare l’interesse da parte di cantine “forestiere”, stendeva tappeti rossi. Oggi, nel 2020, nei bar della zona son reputato “furbo ed egoista” perché ho avallato la scelta del consorzio di tutela di limitare gli impianti, al solo fine di mantenere il prezzo dell’uva Timorasso da Derthona pari a quello del Nebbiolo da Barbaresco e puntare al prezzo dell’uva Nebbiolo da Barolo”.
Hai un sistema per giudicare il “peso” di un territorio, in immagine, appeal, qualità, certezza di investimento?
“Certo, per prima cosa sostengo che in tutta l’Italia, tutte le aree ove da sempre si coltiva la vite sono di alta valenza e le sconosciute meritano più di ciò che ora hanno. Poi subentra il fattore comunicazione, moda e “vino giusto al e per il momento giusto”. Ma esiste un metodo infallibile per risponderti: il prezzo delle uve. Il territorio è grande quando il prezzo di mercato dell’uva da vino costringe gli imbottigliatori di qualità a piantare vigne. Questa è la consacrazione di un’area”.
Come vedi la Fivi dopo più di un anno dalla tua “discussa” estromissione?
“C’è poco da dire, avendo condiviso l’operato dal 2008, anno della fondazione, accettando di viaggiare con il motore aspirato, ero certo, una volta fatto il rodaggio, di applicare il turbo. Vedendo che i miei sogni, la mia visione, meglio il mio “volere” doveva viaggiare con il limitatore di giri, ho ritenuto di non ricandidarmi. Confermo che la Fivi continua a essere una un’associazione gestita in maniera molto Bio e poco Dinamica, molto Bio e poco Logica, almeno, per la mia logica. Quando Luigi De Sanctis, produttore a Frascati con altri due vignaioli mi dissero “la Fivi senza Massa è come il Napoli senza Maradona”, ho dato la mia disponibilità a rimettermi in gioco perché non potevo disattendere a un complimento, una gratificazione del genere, e nello stesso tempo a spronare questa creatura incompresa e non amata nei palazzi. Il patto era che non mi sarei più messo in lista con la squadra dell’andamento lento e così, dopo democratiche elezioni, me ne sono stato a casa. Son mancati 200 voti, preferisco essere il Marco Pannella del vino, un Cincinnato vignaiolo che un trombone da ingrasso, tipico dei palazzi che contano”.
Non poco scalpore nell’ambiente e nella società ha fatto la dedica di un tuo premio al Tavernello e al San Crispino, ossia vini in brick. Provocazione o credo?
“Se siamo ancora lì con queste domande mi capacito sempre più della bontà della mia dedica. Pensiamo ancora che l’abito faccia il monaco? Pensiamo che Maurizio Landini valga meno di Sergio Cofferati perché non porta la cravatta? E che dire di Sergio Marchionne che portava il maglione? E di Mauro Corona? Il vino va bevuto e digerito. Il vino di questi brand non ha bisogno del sottoscritto per argomentarlo, bastano i consumi quotidiani in tutta Italia e in tutto il mondo per valutare il successo. Basta che un consumatore qualsiasi compri allo stesso prezzo, nello stesso negozio un Tavernello da litro e un vino dello stesso colore in una bottiglia di vetro da 0,75 litro (magari DOC, con fascetta) e vedere quale finisce prima e poi si capirà quale fra i due, per il grande pubblico valga la pena di comprare per i prossimi pasti. A me Tavernello e San Crispino interessano per la sostenibilità del progetto, perché le migliaia di Viticoltori (non Vignaioli) sono giustamente remunerati, perché invece di concentrarsi sui fronzoli del contenitore ci si concentra sulla sostanza del prodotto, perché i rifiuti da smaltire sono al minimizzati, la produzione di Co2 al minimo indispensabile, perché non si lucra sull’ignoranza del consumatore, perché sono talmente sicuri del loro progetto che limitano gli investimenti in pubblicità e promozioni: i volumi parlano da soli e i clienti quotidiani sono la certezza. Perché con semplicità disarmante al consumatore umile ma attento si dice: modestamente sono vino. E il grande vino. se veramente è grande, deve dire al consumatore: sono vino… e basta”.
C.d.G.