di Michele Pizzillo
Il giorno dopo l’avvio della fase 2, a Milano, pare che si stia passando dall’ottimistico “ce la faremo” ad un più concreto pessimistico “io speriamo che me la cavo”.
Detto da chi ha aperto la serranda e ha atteso, nel proprio bar, di poter servire il primo caffè o, nel ristorante, di vedere entrare il primo cliente. Poi ci sono quelli che hanno scelto di attendere ancora qualche giorno prima di aprire e i tanti che, probabilmente, non apriranno più per l’impossibilità di sostenere i costi per adeguarsi alle regole imposte dal decisore politico o che la riduzione dei coperti non assicurerebbe nemmeno le entrate per coprire le spese. Insomma, si potrebbe affermare che si respira aria pesante e, forse, non solo a Milano, nel mondo dell’horeca sia fra gli imprenditori, sia nella grande massa di lavoratori che temono di trovarsi senza lavoro. Problemi (anche se meno drammatici di quelli di imprenditori e lavoratori), a quanto pare, dovrebbero averli anche i critici enogastronomici, visto che il Covid-19 ha già modificato l’assetto dell’offerta dell’horeca. Di queste problematiche ne abbiamo parlato con il critico più famoso di Milano, Valerio M. Visintin, di cui nessun ristoratore, cuoco, cameriere e simili, ne conosce il volto perché agli eventi pubblici si presenta come un perfetto “uomo nero”: calzamaglia, occhiali, cappello rigorosamente di colore nero, per non svelare il proprio volto. E, continuare così a frequentare ristoranti in incognito e, magari, evitando di essere “importunato” dalle troppe attenzioni che il ristoratore potrebbe offrigli visto che deve recensire il suo locale. Anche perché una buona recensione di Visintin può fare la fortuna del locale, visto che su “ViviMilano”, allegato settimanale del Corriere della Sera, riempie diverse pagine tra quelle dedicate al ristorante della settimana; all’altra con 7 ristoranti per 7 giorni più la segnalazione “mobile” nel senso che di volta in volta può essere una gelateria o pasticceria o gastronomia; poi c’è la pagina dei ristoranti (4 alla volta) a confronto ma scelti su un tema preciso come, tanto per fare qualche esempio, “cucina & calciatori” o “aperitivi & drink” ma, anche, cucina etnica, con un paese alla volta o, ancora, un alimento come leit-motive. Tutti visitati in incognito, ovviamente, e tutti valutati con un punteggio (10 il voto massimo).
A Milano, volendo, si può fare a meno di consultare le guide dei ristoranti: ci pensa Visintin ad offrirti la chicca della giornata se hai voglia di mangiare fuori. Da critico in incognito, nonché fondatore della scuola “Scrivere di gusto”, è la persona giusta per fare qualche considerazione su come sarà la ristorazione e la critica enogastronomica che dovrà convivere con il covid-19. “Chiaro che stiamo attraversando un periodo denso di incognite. Non conosciamo né i tempi né i modi in cui la ristorazione coglierà il proprio rinascimento. Tranne che i ristoranti cambieranno forma”, dice Visintin.
Alla ripresa, cambierà la critica gastronomica?
“Vorrei poter dire di sì. Perché questo settore ha cronicizzato vizi imperdonabili: amicizie indebite, sudditanze, libero traffico di influenze tra sponsor, ristoratori, uffici stampa e giornalisti (o para-giornalisti). Temo, più realisticamente, un acutizzarsi di queste patologie”.
E le guide salteranno un anno, visto che il materiale raccolto dai vari critici dovrebbe essere elaborato entro la fine dell’estate? O, secondo te, gli editori riusciranno lo stesso ad avere materiale a sufficienza per decidere la pubblicazione?
“Per onorare la cronaca, le guide dovrebbero temporeggiare, attendere che la situazione si stabilizzi. E, successivamente, registrare la realtà senza forzarla, per servire un prodotto utile ai lettori. Come dicevo, però, gli interessi prevalenti sono altri. I lettori stanno all’ultimo posto. Inserzionisti e sponsor spingeranno le guide in edicola a qualunque costo”.
Con i ristoranti che per le nuove regole imposte dal decisore politico potrebbero non superare le difficoltà che già in molto paventano subito dopo l’apertura, ritieni che potrebbe essere più importante la recensione su un giornale, o su un giornale online fatto bene, rispetto alla guida?
“Le maggiori guide italiane vendono un pugno di copie. Stanno in piedi per miracolo sulla base dell’indotto. Si muovono con lentezza pachidermica. E non hanno un pubblico di riferimento al di fuori del microcosmo della cosiddetta “alta cucina”. Per tutte queste ragioni, le testate online, oggi più che mai, sono nelle condizioni di monetizzare un enorme vantaggio. Possono recepire novità e cambiamenti in tempo reale, possono gestire agilmente il rapporto con i lettori, attraverso i social; hanno l’opportunità di cucirsi addosso una credibilità intatta e immacolata. A patto che, come dici giustamente, siano prodotti editoriali fatti bene, si giocheranno una carta decisiva sui nuovi tavoli della critica gastronomica”.
Saranno tempi duri anche per i critici?
“Lo erano già. Perché l’editoria è gravemente ammalata. E la buona salute di questo settore era una fiction nazional popolare. Ma non dobbiamo perdere la speranza di risollevare credibilità e dignità del ruolo, ricollocandolo all’interno delle regole deontologiche”.
Non c’è il rischio che molti locali finiscano nelle mani della malavita?
“Non è un rischio, purtroppo. Possiamo darlo per certo. Ma una fetta considerevole della ristorazione italiana aveva già le mafie in casa. Anche se le testate di settore non hanno mai speso una riga su questi temi, come se si trattasse di una macchia da nascondere sul vestito della festa”.
Questo è un tema trattato nei suoi corsi della scuola “Scrivere di gusto”?
“Certo. È fondamentale inquadrare vizi e virtù di questo settore. Non si può fare critica gastronomica con la testa nel piatto”.