di Maddalena Peruzzi
Simone Padoan non ha bisogno di presentazioni. Sono trascorsi più di 25 anni da quando ha aperto I Tigli, il suo famoso locale di San Bonifacio, nella provincia orientale di Verona.
Era il 1994 e da allora ha rivoluzionato il concetto di pizza, con il massimo rispetto, ma senza alcun timore reverenziale nei confronti della tradizione. La sua filosofia? Lievitazione naturale, ricercatezza negli impasti, ingredienti italiani di altissima qualità e poi la cosa più difficile di tutte: semplificare. Perché, come dice lui, “il cibo è una cosa semplice”. Simone ci ha spiegato il suo punto di vista in modo aperto e diretto, rivelandoci anche qualcosa di personale…
Entriamo subito nel vivo, le piace la definizione “pizza gourmet”?
“No, non mi piace perché presuppone che la possa comprendere solo un buongustaio e questo va contro l’essenza stessa della pizza che è il piatto pop per eccellenza. La pizza deve essere immediata e piacevole per chiunque la addenti, a prescindere da quanto siano ricercati e costosi gli ingredienti con cui è fatta o da quanto lavoro ci sia dietro”.
Cos’è la pizza per lei?
“La pizza è un piatto unico, emblema dell’Italia, ed è sempre contemporanea perché è figlia del suo tempo. Sempre, anche se i tempi cambiano. Partendo da queste considerazioni ho cercato di sviluppare qualcosa che fosse totalmente mio, unendo le mie due grandi passioni: la pizza e la cucina”.
La pizza è più scienza, più artigianato o più arte?
“Sono vere tutte. La pizza è un’alchimia”.
Si definirebbe uno chef o un pizzaiolo?
“Sono semplicemente un uomo di cucina”.
Qual è il segreto di un locale di successo come I Tigli?
“A monte serve un’idea e a valle serve il consenso: quello che proponi deve piacere, altrimenti non ha senso. Se voli troppo in alto perdi di vista i fondamentali, il cibo è una cosa primordiale, viscerale. Non sono per la cucina concettuale, per i viaggi mentali. La sfida non è realizzare piatti sempre più complessi, è riuscire ad arrivare diretti al cuore delle persone”.
La tradizione è una zavorra?
“La tradizione è un bagaglio di conoscenza che ti serve per intraprendere il viaggio, ma può diventare limitante, in Italia soprattutto. Ciascuno dovrebbe sentirsi libero di proporre cose differenti, avere il coraggio di portare avanti la propria idea personale, di raccontare la propria storia”.
Ci sono limiti all’innovazione?
“No, l’unico limite è la capacità di creare qualcosa che abbia davvero senso”.
Ma non è sempre facile seguire la propria strada…
“No infatti, non lo è stato neanche per me. All’inizio mi consideravano un alieno, mi sono sentito definire “il polentone che fa pizza”, dicevano che quella che proponevo io non era pizza. Poi in quasi trent’anni ne sono cambiate di cose, per fortuna”.
Fatto cento il mondo della pizza italiana, quanto è “fuffa” e quanto è verità?
“90% fuffa e 10% verità. Questo 10% è fatto di persone che stanno lavorando molto bene e sanno davvero fare la pizza”.
Pizza e birra o pizza e vino?
“Pizza e vino. Sono un grande amante della birra, ma il connubio perfetto per me è con il vino. Chiaramente sono gli ingredienti della pizza a determinare qual è il vino giusto da abbinare”.
Un vino che le piace tanto?
“Lo spumante Lessini Durello, gioco in casa”.
Due piatti per cui va pazzo?
“La pizza Margherita e i dolci, sono molto goloso”.
Libro sul comodino?
“Negli ultimi anni ne ho impilati tanti e ne ho letti pochi, per mancanza di tempo, purtroppo”.
So che è uno sportivo…
“Sì, mi piacciono soprattutto gli sport di fatica, perché ti insegnano che dove non arriva il fisico arriva la testa. Il talento, in qualunque ambito, si sviluppa con la perseveranza, da solo non basta mai”.
La cosa che la fa più arrabbiare?
“L’incoerenza”.
La cosa che le fa più paura?
“Il tempo. Corre troppo veloce”.
Ci racconta un retroscena divertente della sua vita in cucina?
“Mi diverto a mordere le orecchie delle persone che lavorano con me, ovviamente a tradimento. Sul lavoro sono molto esigente, ma mi piace anche scherzare. In cucina siamo una famiglia”.