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L'intervista

Pericle Paciello tra Toscana e Sicilia: “Dalle banche al vino, vi racconto Domini Castellare”

20 Ottobre 2019
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(Pericle Paciello)

di Giorgio Vaiana

Una vita tra i numeri, quelli della banche, degli investimenti, dei soldi delle acquisizioni. Poi la scintilla che si è fatta fuoco. La sua passione, che coltivava da sempre, che finalmente è diventata un lavoro. Vero. 

La storia di Pericle Paciello, oggi direttore marketing e comunicazione del gruppo Domini Castellare (che possiede 4 aziende, due in Toscana: Castellare di Castellina e Rocca di Frassinello; e due in Sicilia con Feudi del Pisciotto e Gurra di Mare), inizia dalle banche. “Per 13 anni – racconta Paciello – ero consulente di un'azienda americana che si occupava di fusioni tra le grandi banche. Ma la sera tenevo sempre fede alla mia passione, il vino. E nei fine settimana, quando potevo e quando mi trovavo in Italia, adoravo andare alla scoperta delle aziende vitivinicole, dal Chianti alle Langhe. Da qui la scelta di iniziare il corso in enologia con il professione Attilio Scienza a Milano e poi la laurea all'università della Tuscia con Riccardo Cotarella”. La decisione, insomma, era presa. Pericle Paciello lascia la giacca e la cravatta del mondo del'economia e indossa stivali e abiti comodi per una vita vissuta tra le vigne, l'uva e le botti. “L'incontro con Paolo Panerai è stata la svolta della mia vita – dice – Ora lavoro per lui e con lui da 5 anni”. Domini di Castellare è un'azienda che si divide in quattro: due sono quelle toscane, e due quelle siciliane, per una produzione complessiva di circa un milione di bottiglie. Il grosso lo fanno le aziende toscane con 700 mila bottiglie, il resto Feudi del Pisciotto e la chicca di Gurra di mare. La quota export è del 65 per cento, “ma stiamo cercando di aumentare il nostro mercato interno”, dice Paciello. Paesi di riferimento sono gli Stati Uniti, la Germania, la Svizzera e la Gran Bretagna, ma Domini ha un'eccellente presenza in Cina, “grazie all'ottimo laoro fatto in questi anni per consolidare questo mercato – dice Paciello – Il nero d'avola di Feudi del Pisciotto in Cina è molto richiesto”.

Per Paciello ora è il tempo di tirare le somme di una vendemmia 2019 iniziata in ritardo: “E' stata un'annata molto particolare – dice – con una primavera molto fresca, con qualche grado in meno rispetto alla media. E quindi le varie fasi hanno rallentato un po', dall'allegagione, alla fioritura che ha sofferto un pochino. E questo ritardo ce lo siamo trascinati anche in vendemmia, che è durata un paio di settimane in più rispetto al solito”. Ma c'è un rovescio della medaglia: “Questa particolarità di quest'anno – dice Paciello – però ha prodotto uve di una qualità estrema. E noi, che siamo un gruppo che bada più alla qualità che alla quantità, non possiamo che essere soddisfatti”. Domini e amore per il vino sono concetti estremamente legati tra di loro. Fu proprio l'amore e la passione di Paolo Panerai per il vino italiano a far nascere il gruppo Domini. Lui, toscano di nascita, non ha mai voluto abbandonare la sua terra, fondando Castellare oltre 40 anni fa: “Lo possiamo davvero definire un vigneron”, dice Paciello. Tutte le settimane visita le sue tenute in Chianti e almeno una volta al mese si reca in Sicilia: “In Trinacria Panerai ha fatto un investimento importante – dice Paciello – non solo per il vino, ma anche per la ristorazione e per l'accoglienza, con un relais con 10 camere che dovrebbero diventare 30 a breve. Feudi si trova in un territorio straordinario, una location di altri tempi e da la possibilità di immergersi davvero nella produzione del mondo del vino. Oltre ad avere l'opportunità di visitare i dintorni dell'azienda che sono davvero magnifici”. La Sicilia, secondo Paciello, non è più una scommessa: “Prima si badava solo alla quantità – dice – Oggi c'è un percorso in atto grazie anche a dei bravissimi produttori e la Sicilia è diventata un vero e proprio brand della vitivinicoltura italiana. Prima l'Etna un po' monopolizzava la comunicazione del vino siciliano, oggi mi pare che non sia più così. Si parla di Cerasuolo di Vittoria, Moscato di Noto e di tante altre zone che fino a poco tempo fa erano poco note al grande pubblico. Meglio così”. Il Chianti, invece, sta attraversando un periodo d'oro: “La vicenda cru ci tocca e non ci tocca – dice Paciello – perché noi abbiamo sempre prodotto quella che è in sostanza la nostra Gran Riserva, senza mai fare blend con gli internazionali, ma solo con uve autoctone. Siamo contenti del fatto che la nostra lungimiranza alla fine ci ha premiato. Oggi il mercato chiede vini che siano espressione di un determinato territorio”. 

Il vino italiano, secondo Paciello ha ancora margini di miglioramento: “Ci sono mercati che non hanno ancora espresso le loro potenzialità, Cina in primis. Ma bisogna guardare altro e pensare a nuove prospettive, come il Giappone. Noi non vogliamo farci trovare impreparati e bisogna anche sfruttare la possibilità dei nuovi accordi doganali”. Quindi più libertà e non dazi? “Non hanno toccato il vino italiano, almeno per il momento, e hanno invece incluso i vini francesi – spiega Paciello – Certo per noi è una possibilità, ma la penalizzazione dei vini francesi non vuol dire per forza che tutti acquisteranno vini italiani. Ci sono altri paesi pronti a sfondare in questo mercato. Non mi piace, però, quando le logiche doganali influenzano in modo così determinante il mercato internazionale dei vini”. Tra le sue bevute memorabili un vino dei Domini, “perché ci sono corsi e ricorsi storici – dice Paciello – Ho bevuto in un momento molto felice della mia vita I Sodi di San Niccolò che ho ribevuto poco tempo dopo quando ho iniziato a lavorare per Domini. E poi ultimamente, ma non faccio nomi di aziende, mi è capitato di bere dei grandissini Cerasuolo di Vittoria in Sicilia. Sono zone che vanno approfondite”.