(Pietro Pellegrini)
di Fabiola Pulieri
Pietro Pellegrini è il primo di tre fratelli, ha frequentato la scuola enologica di Alba e da adolescente ad un certo punto, ha fatto parte di un gruppo musicale per poi diventare deejay a Radio Alba, agli albori della sua fondazione.
In quel momento avrebbe potuto scegliere di dedicarsi ad altro nella sua vita, ma la passione per il vino e la storia di famiglia sono state una calamita troppo forte, tanto da riportarlo in azienda per proseguire ciò che il nonno ed il bisnonno avevano iniziato già alla fine del 1800. Presidente e direttore commerciale della Pellegrini Spa, oggi Pietro Pellegrini guida, insieme al fratello Angelo, un'azienda di distribuzione di vini e distillati tra le più importanti in Italia, ma la famiglia Pellegrini è anche produttrice di vini dalla forte tradizione toscana, in un’azienda agricola a Montelupo Fiorentino (Firenze), la Fattoria di Petrognano, con annessa attività olivicola, che dal 1963 viene portata avanti con passione e dedizione parallelamente alla distribuzione. Cosa significa oggi fare distribuzione e come è cambiato negli anni il mondo del vino ce lo racconta proprio Pietro Pellegrini.
Da quanti anni lavora in questo settore e nel tempo cosa è cambiato?
“L'azienda Pellegrini è un'azienda di famiglia alla quinta generazione, negli anni è cambiato il mio lavoro perché sono cambiati i tempi. Quando ho finito la scuola enologica di Alba e ho iniziato a lavorare in azienda, negli anni '80, era da poco iniziato il rinascimento degli anni '70 e il vino era un prodotto di uso comune, quotidiano, venduto in “pezzature” grandi perché doveva essere economico. Nel decennio successivo, negli anni '90, è cambiato tutto. Il vero cambiamento però per noi è avvenuto nel 2008, quando abbiamo liquidato, da una società condivisa, un altro distributore di grande livello e acquisendo la sua quota e convogliandola nella Pellegrini S.p.A. abbiamo iniziato un percorso molto più definito e determinato”.
Quante aziende distribuisce attualmente Pellegrini Spa e quale criterio usate nella scelta dei vostri clienti?
“Abbiamo poco più di un centinaio di aziende di vini e distillati, tra Italia e estero. Rispetto alla media dei distributori la nostra quota Italia è abbastanza importante e rappresentiamo tutte le Regioni viticole. La logica che muove i nostri interessi di lavoro è quella della qualità e la scelta ricade su vini fortemente identitari, di aziende che, anche se piccole, hanno una identità molto riconoscibile di territorio e di vigneti”.
Internet quanto ha influito nel vostro settore e come ha cambiato il mercato?
“Internet e l'e-commerce sono da considerarsi un canale alternativo, attuale e moderno, rispetto al canale tradizionale e per noi un operatore di e-commerce è un cliente come un enotecario tradizionale. Noi non facciamo e-commerce per scelta, perché non vogliamo fare concorrenza ai nostri stessi clienti”.
Guardando al futuro come sarà il lavoro di distribuzione del vino? Lo vede in crescita?
“In un mercato stimato intorno a due miliardi e mezzo di volumi di vino imbottigliato o comunque commercializzato in contenitori al consumatore finale, chi ne occupa la maggior parte è la grande distribuzione con il 60-70% dell'intera quota. La distribuzione delle società come la nostra occupa invece, sommando il fatturato di tutti i distributori, più o meno il 10% e tutto il resto lo fanno ancora i produttori. Questi ultimi, intesi come coloro che lavorano nei vigneti e producono vino, non hanno tanto tempo per commercializzare i loro prodotti. Alcuni sono famiglie composte da più individui che possono dividersi il lavoro tra loro, altre invece hanno bisogno di aiuto nella distribuzione, perché devono stare in vigna o in cantina, e cercano le società come la nostra perché ne sentono la mancanza. Dunque c'è ancora un largo margine di crescita”.
Quale volume annuale di bottiglie fate girare come Pellegrini Spa, con tutte le aziende che avete nel vostro portfolio?
“Per il 2018 parliamo di circa un milione e trecentomila bottiglie. La crescita quest'anno è ancora maggiore e ci stiamo assestando intorno al 20% in più del precedente. Ovviamente mancano ancora cinque mesi al bilancio finale”.
C'è un'azienda che vi ha dato “grande soddisfazione”? Quella che avete visto crescere o esplodere in pochissimo tempo?
“Noi abbiamo un fenomeno a catalogo, nel senso di breve tempo in cui si afferma un vino, perché il vino ha bisogno di tempi lunghissimi. La vite, il vino stesso che deve maturare e anche a livello commerciale non si inventa dall'oggi al domani un prodotto di qualità, anche perché qualità è sinonimo di costanza, perché deve dimostrare di essere buono nel tempo, fatto nel modo giusto, da persone giuste e nel posto giusto. Il caso che posso citare è “Quintodecimo”, progetto campano, in Irpinia, di Luigi Moio, figura fondamentale dell'enologia italiana e non solo, che ha dimostrato di saper costruire intorno a degli obiettivi precisi dei vini perfetti. Ci abbiamo creduto tutti sin dal principio e questo è fondamentale nel mio mestiere perché le prime casse di vino che si comprano, si comprano perché si spera di venderle”.
Come sta cambiando il mondo del vino, quale evoluzione ha notato lei in 30 anni di attività nel settore?
“L'evoluzione qualitativa del vino e del mercato del vino è molto evidente. I giovani con passione, che ritengo essere elemento fondamentale in questo settore, hanno molte più opportunità di prima, perché possono muoversi di più, hanno più facilità nel capire cosa avviene all'estero, quali tecniche nuove o sperimentali sono utilizzate non solo nel vecchio ma anche nel nuovo mondo. La cosa certa è che sempre più si sta lavorando alla qualità e alla sostenibilità in vigneto. Molto più che in altre attività legate all'agricoltura”.
I cinque punti fondamentali che deve tenere presente chi fa il lavoro di distributore?
“Innanzitutto noi dobbiamo pensare che l'etica deve guidarci insieme alla serietà e all'onestà di riconoscere il lavoro del produttore che deve essere soddisfatto. Secondo, l'organizzazione e l'adeguamento a quelli che sono i tempi, oggi è necessario muoversi velocemente e per noi che siamo aziende di servizio il servizio è fondamentale. Terza cosa molto importante è saper fare i conti, troppe volte ho visto aziende, piccole o grandi, andare a rotoli perché non stavano dentro con i conti tra la teoria e la pratica. Altra cosa ugualmente importante è conoscere non solo il mestiere ma soprattutto il prodotto. Io lo dò per scontato perché forse essere arrivati alla quinta generazione significa avere propri dei meccanismi che altri devono acquisire negli anni. La quinta che potrebbe essere anche la prima è la passione”.