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L'intervista

Parmigiano Reggiano, produzione ai massimi storici: ma c’è l’incognita dei ristoranti

07 Maggio 2021
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di Emanuele Scarci

La pandemia ha spinto la produzione di Parmigiano reggiano al record storico, ma ora l’emergenza sanitaria rischia di desertificare la ristorazione e compromettere la ripartenza del Re dei formaggi nel miglior luogo deputato al consumo.

“C’è una grande depressione – esordisce Nicola Bertinelli, appena riconfermato presidente del Consorzio del Parmigiano reggiano -. Nella mia azienda agricola (a Medesano, nel parmense, ndr) prima del Covid lavoravano 50 persone, oggi sono in 10. Gli altri sono in cassa integrazione, ma vivere con 800 euro al mese non è facile. Difatti ho perso diversi collaboratori dopo 20-25 anni: lavoravano come sous-chef o si erano formati nel servizio in sala. All’età di 40-45 anni hanno deciso di andare a lavorare in fabbrica a impacchettare prosciutti di Parma o a fare l’operaio nelle fonderie”.

Torneranno quando terminerà la pandemia?
“Non so in quanti torneranno indietro. La verità è che stiamo disperdendo le migliori professionalità e distruggendo la capacità produttiva di un paese. Non so se le scelte siano quelle giuste”.

Bertinelli, il 2020 è stato l’anno più pazzo di sempre per la pandemia, la ristorazione chiusa e i dazi americani. Cos’è successo al Parmigiano reggiano?
“La produzione ha raggiunto il record storico: quasi 4 milioni di forme per 160mila tonnellate, con una crescita di circa il 5%. I prezzi sono scivolati fino all’estate, poi sono bruscamente risaliti e a dicembre hanno varcato la soglia dei 10 euro/chilo per la stagionatura 12 mesi. Tuttavia il prezzo medio del 2020 (8,52 euro/chilo) è risultato inferiore del 20% rispetto all’anno prima”.

E quest’anno che succede?
“La produzione è ripartita con lo stesso slancio del 2020: +2,4%. Mentre i prezzi, nei primi 5 mesi del 2021, si sono stabilizzati intorno a quota 10,22 euro/chilo. Il 22% in più dell’analogo periodo. Ricordo che la filiera comprende 321 caseifici e 2.600 allevatori per un totale di 50 mila addetti. Un sistema che genera un giro d’affari al consumo di 2,35 miliardi di euro”.

Nel 2020 la chiusura della ristorazione avrebbe fatto pensare a una contrazione dei consumi di Parmigiano reggiano in Italia, invece sono aumentati. Come lo spiega?
“Di questo ci siamo resi conto durante il lockdown. La gente ha comprato nella grande distribuzione quello che desiderava mangiare e sono aumentate le nostre vendite. Abbiamo concluso che nei menu della ristorazione si indica la presenza di Parmigiano reggiano, ma poi si utilizzano i formaggi similari”.

Quindi quando la ristorazione riaprirà dovreste avere un calo delle vendite. Sperate che rimanga chiusa?
“No, speriamo che riapra: è solo una sfida culturale. Ci chiediamo: quanto potrà aumentare il costo se il ristoratore utilizza 10 grammi di Parmigiano reggiano per piatto? Pochi centesimi. La speculazione non può essere fatta su un prodotto buono e nobile come il nostro”.

Ma come convincere i ristoratori?
“Serve una collaborazione con la ristorazione di medio-alto livello nel mondo: questa è il luogo ideale per celebrare un prodotto come il nostro. Se al ristorante di livello trovi la S. Pellegrino e l’acqua Panna, devi trovare anche il Parmigiano reggiano”.

Come si prepara il Consorzio alla ripartenza, si spera da metà maggio, dell’Horeca e del turismo?
“Abbiamo un piano marketing aggressivo e orientato allo sviluppo della domanda. Il 2021 è un anno di sfide che non è solo la Brexit. Penso agli effetti della crisi post-covid che impatteranno sui consumi mentre dobbiamo contenere la crescita produttiva per evitare ricadute sui prezzi. Il bilancio preventivo 2021 prevede la cifra record di 51,8 milioni contro i 38,4 del 2019. Abbiamo 26 milioni per gli investimenti promozionali e per lo sviluppo della domanda in Italia e all’estero: quasi 4 milioni in più del 2020”.