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L'intervista

Paolo Barrale: “Basta piatti alla Picasso. Ora si deve volare basso”

19 Settembre 2018
Paolo Barrale Paolo Barrale

Intervista con lo chef del Marennà e presidente di Chic Chef: “C'è un abisso con la Francia. Tornare a fare tradizione? No, ognuno faccia quello che è in grado di fare”


(Paolo Barrale – ph Vincenzo Ganci)

di Giorgio Vaiana

Ha vissuto un estate impegnativa, “ma abbiamo una verve che ci permette di fare grandi imprese”. 

Chiacchierare con lo chef Paolo Barrale, del ristorante stellato Marennà che si trova all'interno dell'azienda Feudi di San Gregorio a Sorbo Serpico in provincia di Avellino, regala 5 minuti di allegria. Lo chef, tra una pausa del servizio del pranzo ed in attesa di riprendere quello della cena, si concede ai nostri microfoni, anzi ai nostri telefoni. Si parla a 360 gradi, partendo dai successi della sua azienda fino a fargli vestire i panni seriosi di presidente di Chic Chef, l'associazione nata nel 2009 che riunisce un centinaio di grandi professionisti (oltre cinquanta stelle Michelin) che propongono una cucina creativa, nel rispetto delle materie prime di cui è ricco il nostro Paese. Lui lo scorso anno è stato nominato presidente e, per la prima volta in questa veste, sarà in Sicilia, a Giarre in provincia di Catania precisamente, il prossimo 2 ottobre per la classica riunione plenaria (ne parlavamo in questo articolo). “La stagione è andata bene – dice lo chef – Noi abbiamo la fortuna di trovarci all'interno di un'azieda agricola che già di per sé è un'attrattiva. Però, diciamoci la verità, ci abbiamo messo del nostro visto che la gente mangia bene, sta bene e si diverte anche”.

La stella per Barrale, “è una consacrazione. Ma la cosa fondamentale è non fermarsi mai dopo averla raggiunta. Bisogna lavorare perché il cliente esca dalla porta del tuo locale sempre soddisfatto”. E per farlo, dice lo chef, “cerchiamo di fare una cucina chiara che prende spunto dai prodotti del territorio, dalla stagionalità, che sia facilmente leggibile. Non proponiamo mai quelle cose diverse per forza. Il cliente davanti vuole trovarsi non un piatto alla Picasso, ma un piatto rappresentato da un grande paesaggista”. 

La situazione della ristorazione in Italia, “non è florida come sembra”, dice lo chef. Il problema secondo Barrale è che “la ristorazione di qualità, di un certo tipo, non viene percepita così facilmente come sembra. Perché è vero che si sono alzati i livelli in buona parte dell'Italia, ma è anche vero che le aree del centro-sud soffrono. Se non si riescono a raggiungere determinati obiettivi economici che non permettono la sussistenza, è inutile stare aperti”. Ci sono tanti chef in giro molto bravi, “che dopo una determinata formazione aprono i ristoranti ma non ottengono la risposta che si aspetterebbero e stringi stringi ci si deve battere quotidianamente con realtà differenti”. Il problema è economico? “Anche perché – dice lo chef – non si può vendere a prezzi che si vorrebbe o si dovrebbe, e certe volte è facile pensare che sarebbe stato meglio aprire una pizzeria o una panineria”.Già, perché fare ristorazione di qualità, “comporta costi e sacrifici diversi – dice Barrale – devi subìre le critiche, devi affrontare altre spese economiche, devi avere personale maggiormente qualificato e maggiormente competente. Perché se vai in pizzeria mica stai attento se la tovaglietta è di carta o meno”.

Secondo Barrale, il problema è di tipo culturale, “perché in Italia manca la clientela in grado di capire un determinato tipo di cucina, che riesca a stabilire con certezza se stai facendo una cosa buona o cattiva”. E gli chef, suoi colleghi, “dovrebbero cercare di non esasperare tutto, impegnarsi e non concentrarsi necessariamente sul fare un cucina troppo alta”. I cugini francesi rimangono troppo distanti secondo Barrale, “perché noi sappiamo mangiare bene le polpette, ma ci confondiamo se qualcuno ci mette davanti un piatto che è diverso da quello a cui siamo abituati”. Gli chef “che fanno spettacolo sono sulla cresta dell'onda grazie anche a voi giornalisti – dice Barrale – magari esaltate giovani sì bravi, per carità, ma a volte vengono maledettamente pompati, invece dovrebbero volare basso. Non sempre chi fa uno show in un ristorante cucina bene”.

E quindi il ritorno alla tradizione come dicono alcuni? “Credo che sia giusto che si torni ad una cucina comprensibile e percepibile – dice lo chef – Non penso sia giusto fare sempre e solo tradizione. Se qualcuno è bravo a perseguire la tradizione continui su quella strada, non si affanni su strade che non è in grado di percorrere. Così si fa solo confusione. In realtà, secondo me, la ristorazione italiana deve superare alcuni schemi. La gente da noi mangia fuori solo la domenica. Bisognerebbe, però, riempire i tavoli anche negli altri giorni. Ma non è un problema economico. È un fatto culturale. Ed è anche per questo che la Francia non è l'Italia”.