Lo chef racconta i suoi 60 anni: “In tv tanti chef incompetenti. Nel gotha della ristorazione sempre gli stessi, da Bottura a Beck, ci sarà un motivo”
(Nino Graziano con la moglie Sabine)
di Francesca Landolina
Due giorni a Tokio con amici siciliani e russi, una cascata di vini siciliani e bollicine siciliane e francesi, e i piatti dei ristorati Ryu Gin (3 stelle) dello chef Seiji Yamamoto e Creation de Narisawa (2 stelle) dello chef Yoshihiro Narisawa. I suoi sessant’anni li ha festeggiati così Nino Graziano, il centravanti di sfondamento di Bolognetta, in provincia di Palermo, che sognava di fare il calciatore, ed è diventato invece lo chef bistellato del ristorante Il Mulinazzo di Villafrati.
“Per il mio compleanno, sono tornato in Giappone, dove diversi anni fa ho fatto un corso di formazione per centinaia di cuochi. Da quella terra, ho ricevuto molti stimoli per il mio lavoro, ma è stato ancor più emozionante constatare, a distanza di qualche anno, la crescita della cucina giapponese, più in linea con lo stile europeo e fedele alle sue radici”. L’occasione è ghiotta per scambiare quattro chiacchiere con lo chef, ripercorrendo qualche ricordo passato e conoscendo il suo pensiero in merito alla cucina di oggi e di domani.
Lo incontriamo con Sabine Bour, sua compagna nella vita e nel lavoro. Com’è noto, dopo la seconda stella al Mulinazzo, oltre 10 anni fa, parte per la Russia dove apre il ristorante Il Semifreddo Mulinazzo, che diventa presto sinonimo di ottima cucina nella terra degli zar. E negli anni ha dato il suo forte contributo ad avviare una serie di ristoranti di cucina italiana sotto il marchio Accademia culminando nell’apertura de “La bottega siciliana” a pochi passi dal Bolshoi e dalla piazza Rossa nel cuore di Mosca, uno dei luoghi più frequentati della capitale russa, dove mangiare un pezzo di pizza, o qualche piatto che rimanda alla tradizione dell’Isola.
(Nino Graziano con l'ex presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano)
“Degli anni al Mulinazzo ricordo con emozione un momento particolare – racconta Nino -. Quando mi assegnarono la seconda stella, ricevetti centinaia di telefonate. Il fax non smetteva mai di funzionare e poi quell’emozione”. A distanza di tempo è viva nei ricordi di Nino. “Una chiamata da Buenos Aires. Dall’altra parte del mondo mi parlava un siciliano che non conoscevo. Era commosso e fiero. “Finalmente, mi diceva, per la prima volta giunge una notizia bella sulla Sicilia, non si parla di mafia né di stragi. Ma della nostra bella Sicilia. Grazie chef”. In quel momento mi sentii una star, perché rappresentavo la mia terra e perché ero orgoglioso di quanto ero riuscito a fare. Non una star come oggi si intende con quel termine. Non avevo certo il pensiero di andare in tv o di essere sui giornali o di dimagrire per mostrarmi più attraente. Ero una star in cucina e fiero di questo”.
(Nino Graziano in una foto dell'album dei ricordi)
Le opportunità televisive di certo non sono mai mancate a Nino, che le ha rifiutate. “Non avevo tempo né interesse per le trasmissioni”. Oggi chi rifiuterebbe? “Penso che la tv aiuti tanto, ma vi si infilano molti incompetenti che senza neppure le basi si fanno chiamare chef. Oggi, se è possibile, corrono in tv e vogliono fare le star. Ma le star mediatiche. Di fatto però da 15 anni nel gotha della ristorazione italiana, nei primi 30 posti, ci sono sempre gli stessi chef che si confermano grandi e qualche nuovo talento. Da Massimiliano Alajmo a Gaetano Trovato, da Heinz Beck a Bottura, uno dei nuovi”.
In fondo, tra grandi chef è facile riconoscere il vero talento. Da presidente onorario de Le Soste di Ulisse, Nino dice: “Nel mondo dei grandi chef non c’è competizione, ma amicizia e rispetto. Parliamo la stessa lingua e quando uno è bravo, lo notiamo. La competizione nasce quando non c’è sostanza. Diciamo che noi siamo un mondo a parte e amici dei veri cuochi, quelli bravi. Se qualcuno bleffa, lo sappiamo”. Graziano è stato il primo presidente de Le Soste di Ulisse, l’associazione della ristorazione di lusso siciliana. “Quando l’abbiamo fondata volevamo creare una guida opera di noi chef, non di giornalisti. Esclusi i favori e le amicizie, nella guida sono entrati via via i ristoranti meritevoli, scelti sulla base della conoscenza di chi veramente fa cucina e la fa bene”.
Suona come una sentenza, l’affermazione di Nino. Fiero di quanto ha fatto e continua a fare dalla Russia per la Sicilia; lo chef, intervistato, racconta dei suoi continui viaggi nel mondo. Il successo nella sua carriera arriva dopo il rientro dalla Francia. Lì apprende tecniche nuove da applicare alla cucina tradizionale siciliana. “Entrato nella cucina di Georges Smith, capii che la passione è tutto. Il resto consiste nell’applicare qualche tecnica, purché si applichi bene. Purtroppo negli ultimi tempi questo non accade”. Graziano parla in particolare della bassa temperatura, una delle tecniche che disapprova oggi per delle ragioni precise. “Non sono d’accordo con il suo uso smodato e inappropriato. L’80 per cento dei cuochi che la applica sbaglia. Non fanno altro che bolliti a cui segue una leggera crosticina, spadellando. Ma dove vanno a finire i sapori e i profumi delle materie prime? Dimenticati, annientati. La tecnica va bene per un cosciotto di capriolo, per un ossobuco o per una grossa costata di manzo. Non su tutto, indifferentemente. E poi non si può prolungare la cottura per 25 o 36 ore. A me hanno insegnato che la bassa temperatura si applica a 65° non ad 80° o 90°. Per mangiare cosa? Bollito?”
Lo chef è sempre uno chef, severissimo in cucina. Certe cose storte vanno dette e corrette. Troppe imperfezioni insomma e leggerezza nell’applicare alcune tecniche ‘abusate’. D’accordo con le mode, ma purché non si esageri. E il medesimo pensiero vale per la cucina molecolare. Sulla quale risponde: “Una moda durata 20 anni, ma pur sempre una moda. Passata”. Il futuro della cucina secondo Graziano è radicato nella tradizione. “Sono le nostre radici che possono fare da stimolo per rinnovare con creatività”. E se a dirlo è lo chef che ha conquistato i palati dei russi facendo mangiare loro con gusto cannoli, cassate, piatti mediterranei e perfino granite, bisogna crederci.
“Ormai la Sicilia dell’alta ristorazione è cambiata. Io sono stato tra i primi a credere e a scommettere. Ma oggi ci sono grandi chef, i “miei ragazzi”. Questo sono per me. Talenti. Per loro probabilmente sono stato un modello. Ho dato fiducia, facendo capire che se si ha voglia, passione e talento, nulla è impossibile. Anche ottenere una stella in un luogo periferico e dimenticato dal mondo. Solo un pazzo avrebbe immaginato quanto è accaduto a me. Ma niente è impossibile”. E al lungimirante chef, che oggi gioca il ruolo da direttore d’orchestra in cucina, chiediamo dove va il futuro della cucina siciliana. Su cosa puntare? “Sulla Sicilia stessa e sui prodotti siciliani. Oggi la ricerca deve farsi più approfondita e la cucina deve radicarsi ancor di più alle nostre radici. C’è un patrimonio immenso di sapori dimenticati da tirar fuori”.
Ma ci sarà qualcosa di incompiuto? Un rammarico per qualcosa che avrebbe voluto fare e non ha fatto? Una punta di amaro, insomma. “Beh, c’è una piccola cosa. Ho sognato di fare del Mulinazzo un posto unico al mondo, un posto da tre stelle. Ma serviva un investimento notevole. A quei tempi c’erano fondi per il turismo a fondo perduto e mi rivolsi alle istituzioni regionali. Mi risposero che non avevo i requisiti. Se le cose fossero andate in modo diverso, non ci sarebbe stata alcuna proposta indecente in grado di farmi partire per Mosca. Questa la punta di amarezza. Ma adesso a 60 anni riguardo ciò che ho fatto da Mosca. Probabilmente ho dato alla mia terra di più, da lontano. E continuo a farlo, rappresentandola e dando una mano ai produttori siciliani”. Graziano racconta, il tono della voce è fermo. Lo chef non nasconde quel ricordo dal retrogusto amaro ma non ha rimpianti. Ha giocato la sua partita a testa alta e ha vinto. Continua a farlo. Per il futuro? “Oggi il mio sogno è diventare nonno e cucinare per i miei nipotini. Poi a Villafrati, adesso, ho la Bottega Siciliana, guidata da Sabine ed è bellissimo divertirmi ai fornelli nel mio luogo”. A sessant’anni il centroavanti è sempre in attacco.