Enologo di Bellavista di Vittorio Moretti e patron di Costaripa, nella “sua” Franciacorta ha scelto di non seguire i colleghi: ha posato le forbici e iniziato a vendemmiare solo la settimana scorsa. Quando tutti in zona hanno praticamente finito
(Mattia Vezzola)
di Giorgio Vaiana
Una scommessa, un azzardo, chiamatela come volete. Mattia Vezzola “super enologo” italiano, titolare di Costaripa, la nota azienda vitivinicola di Moniga del Garda (in provincia di Brescia) leader dei vini rosé ed enologo di Bellavista, l'importante azienda della famiglia Moretti ha scelto di andare controcorrente: niente vendemmia anticipata in Franciacorta.
Quindi ha posato le forbici in garage ed ha atteso. Scrutando il cielo, certo. Ed evitando di guadare le previsioni che davano grandinate. Alla fine le grandinate sono arrivate, “ma hanno interessato solo la zona della Franciacorta meno interessante, tra l'altro quella che era stata colpita ad aprile dalla gelata”. Totale del raccolto perso, cira il 40 per cento. Ma la vendemmia è iniziata una settimana fa: “Io ho una filosofia: raccogliere le uve solo quando sono mature – dice Vezzola – Magari alcuni colleghi hanno altre esigenze, o hanno fatto altre valutazioni. Ma ci vuole pazienza e non farsi prendere da ansie e paure”. E così a Costaripa la vendemmia è finita, a Bellavista si concluderà nel giro di questa settimana. Le gelate di aprile avevano compromesso il 35 per cento del raccolto; le grandinate sono cadute, per fortuna, nelle zone già rovinate dal ghiaccio: totale del raccolto perso, 40 per cento. “Lo avevamo messo in conto – spiega ancora l'enologo – La mia una scelta azzardata? Non vi nascondo che ero doppiamente preoccupato”, dice sorridendo. Ma Vezzola trasmette sicurezza su questa vendemmia che rischia di essere ricordata a lungo: “Certo, è presto per fare delle valutazioni – dice – siamo nel campo delle ipotesi, i mosti sono a metà fermentazione, però l'uva raccolta, quella dalle zone migliori e non interessate dalle gelate e grandinate (circa 206 ettari di vigneti complessivamente, ndr) sono uve imprevedibili. L'uva sembra dipinta dal Caravaggio. Poi la spremi ed esce un mosto di buona qualità, niente di strepitoso. Ma poi avviene la magia: e tutto si manifesta quasi fosse una fata. Si abbassano il ph e il potassio, appare la freschezza e una buona acidità. E' presto e non bisogna dire gatto se non ce l'hai nel sacco. Abbiamo rischiato e vediamo alla fine chi aveva ragione”.
Capitolo cambiamenti climatici. Tra gli addetti ai lavori, hanno avuta una eco importante le parole di Attilio Scienza sui cambiamenti climatici in un nostro articolo (leggi qui): “Si devono accettare a affrontare questi tipi di argomenti – dice Vezzola – E' la natura che ti impone di cambiare, ma soprattutto che ti spinge a guardare il futuro in maniera meno industriale, ma più tradizionale, guardando e osservando il territorio, senza mai dimenticare le radici, il valore di una Doc, per esempio, che quel vino deve rappresentare l'origine del territorio. Credo che Scienza abbia ragione, dobbiamo cambiare. Io, nel mio piccolo, ho cambiato approccio a questo mondo dal 1991. Dobbiamo ritornare ad una viticoltura diversa, come quella che facevano i nostri bisnonni, i nostri nonni e i nostri padri, con meno industria, meno costo economico, fare viticoltura lungimirante, che interessi la tipologia dei suoli, con un'attenta gestione delle acque, uno studio sull'esposizione, uno studio dei venti, ma soprattutto un ritorno alla valutazione della genetica”. Secondo l'enologo bresciano, infatti, “c'era un motivo se i nostri bisnonni quando decidevano di reimpiantare i vigneti, sceglievano le proprie gemme da quelle migliori dei vigneti che avevano in casa. Oggi, invece, con il vivaismo fatto di pressapochismo in genere, senza voler offendere nessuno, con una domanda che era nettamente superiore all'offerta, il mondo della viticoltura italiana è stato condizionato da una scelta delle barbatelle negli ultimi 40 anni, fatta in maniera non idonea. Invece dobbiamo tornare a valutare il vecchio modo di coltivare la vigna, gestire il terreno e l'apparato radicale. Perché credo che alla fine i nostri bisnonni, i nostri nonni, i nostri padri che noi guardavamo come quelli che il vino non lo sapevano fare, avevano ragione”.
Vezzola, poi, parla del suo lago di Garda, “e me lo faccia dire, non parlo mai delle mie origini”. Nato e cresciuto sulla sponda bresciana, che prende il sole al mattino, non aveva una grande passione per i rosé: “Li ho sempre ritenuti poco significativi. Oggi, però, e faccio mea culpa, sto scoprendo questo territorio, idoneo a creare dei vini di una setosità unica. Ma tutta la zona Valtènesi fa vini talmente raffinati, talmente eleganti e suadenti quasi come foulard di seta, leggerissimi. La leggerezza è patrimonio di questo territorio”. Poi parla di Etna e del suo successo, “la dimostrazione che le regole sono fatte per essere infrante. Perché in una zona del profondo Sud, escono fuori dei grandi vini, che gli studi dell'enologia mondiale avevano dato per impossibili”.