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L'intervista

Mateja Gravner: “Papà Josko un visionario. Il vino naturale? Non esiste. C’è quello sano”

23 Maggio 2022
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di Giorgio Vaiana

Il tempo per la famiglia Gravner è un concetto che non esiste.

O meglio ha un valore diverso da noi “comuni mortali” amanti del vino. Perché tutto, in questa porzione di spazio che galleggia fra Italia e Slovenia, necessita del giusto tempo. La crescita dei vigneti, la raccolta delle uve, l’affinamento del vino nelle anfore. Ci vuole tempo. Tanto tempo. Come il tempo trascorso allo Zash di Riposto in provincia di Catania, il country boutique hotel della famiglia Maugeri. Qui si trova anche il ristorante una stella Michelin guidato dallo chef Giuseppe Raciti. Carla Maugeri, mente vulcanica e impeccabile padrona di casa, ha voluto organizzare una serata in cui i protagonisti, oltre ai piatti dello chef Raciti, sono stati i vini Gravner. Quattro etichette mitiche (Ribolla 2014, Ribolla 2011, Ribolla 2007 e Breg Rosso 2007) commentate insieme alla figlia di Josko, Mateja Gravner, che ci ha anche concesso un’intervista.

Mateja, in poche parole mi racconti Josko. E non mi dica che è solo suo padre…
“(sorride, ndr). Josko è una persona che non si sente mai arrivato. Lui non si accontenta mai. Una persona molto severa soprattutto con se stesso. Vuole fare sempre meglio, mai meno del meglio. E per farlo non pone nessun limite al cambiamento teso al miglioramento”.

Insomma un uomo testardo…
“Direi coerente. Una coerenza che ha sempre e solo saputo avere lui. Ha cambiato la cantina tre volte e l’ha fatto solo per fare dei miglioramenti. Lui è un uomo coerente nel perseguire il meglio”

Eppure spesso non viene capito…
“Già. Perché quando produceva vini barricati le cose gli andavano bene. Ma lui non si è seduto sugli allori: ha iniziato i cambiamenti consapevole di percorsi difficili, tentativi, errori”.

Oggi, secondo lei, rifarebbe di nuovo tutto quello che ha fatto?
“Ovvio. Anzi farebbe altri cambiamenti. Lui non si è mai reso conto di aver agito da incosciente, non si è mai reso conto che si stava giocando l’azienda se le cose fossero andate male. Era troppo sereno. Non ha mai percepito il rischio”.

Ma gli avete mai detto “Papà, ora basta”?
“No, perché, ha avuto sempre ragione lui. Quando prende una decisione importante, la prende in maniera così sicura, che può anche non piacere quello che fa, ma lo fa talmente bene che alla fine ti convince”.

Voi siete un po’ in quella che potremmo definire la “Terra di Mezzo” tra Italia e Slovenia…
“Vero. Si avverte sia dal punto di vista enologico, ma anche dal lato umano. Non si può scindere. Noi siamo e saremo sempre la minoranza slovena che vive in Italia. E ancora oggi, non vi nascondo che ci additano come “comunisti” quando siamo nella parte italiana. E quando siamo in Slovenia ci chiamano “fascisti”. Insomma non abbiamo pace. Ma abbiamo imparato a fregarcene dei commenti, tirare su la testa e fare quello che è giusto fare: lavorare. Papà se n’è sempre fregato delle apparenze e delle convenzioni”.

Convenzioni è un termine che si collega un po’ a quello che le stavo per chiedere: il vino naturale esiste? E’ una convenzione? Una moda?
“Il vino natuale non esiste. Non può esserci vino senza l’intervento dell’uomo. Il vino non nasce da solo. Ma può essere prodotto con il minimo intervento umano. Che poi è quello che facciamo noi. Ma attenzione, il vino non è indispensabile per sopravvivere”.

E questo cosa c’entra?
“C’entra eccome”

Si spieghi meglio…
“In caso di estrema necessità tutti possiamo sopravvivere senza vino. Allora, come per tutte quelle cose non indispensabili, bisogna curarcene ancor di più per renderle più sane. Il vino contiene alcol. E l’alcol non fa benissimo al nostro corpo. Non possiamo intervenire proprio su tutti gli ingredienti del vino, ma bisogna bere poco e in maniera sana”.

Che vuol dire bere in maniera sana?
“Vuol dire che tutto il resto che c’è prima di arrivare alla bottiglia deve essere pulito al cento per cento. Più sano”.

E un vino sano oggi si può fare?
“Noi ci stiamo provando. Non c’è residuo in vigna, nei nostri vigneti ci sono alberi, uccelli, acqua. Non abbiamo mai fatto una monocoltura. Siamo tornati solo a lavorare con varietà autoctone. L’agricoltura è indispensabile per sopravvivere, ma deve tornare ad essere meno impattante possibile. Per questo le varietà che vanno scelte devono essere quelle che in quel luogo consumano meno ambiente possibile. Per questo abbiamo scelto di fare più bianco Breg. La terra non può essere considerata come una cosa che serve a produrre e basta”.

Insomma il concetto di sostenibilità poi messo in pratica…
“Non è facile fare sostenibilità. E’ facile parlare di sostenibilità e raccontarla. Ma poi la pratica è un’altra cosa. Sicuramente vengono fatte piccole cose, ma servono interventi più incisivi. La cosa che mi piace sottolineare, però, è che su questo aspetto c’è molta più consapevolezza, soprattutto da parte dei giovani. Gli ultimi anni sono stati faticosi per tutti, sia dal punto di vista umano che ambientale. Stiamo assistendo a dei cambiamenti importanti, sia climatici che di comportamento della terra stessa. E tutto adesso è visibile e sotto gli occhi di tutti. Situazioni che non possono essere più ignorate”.

Mi riveli qualche progetto della vostra cantina?
“Ma in realtà non ci sono grandissime novità. Vogliamo proseguire sulla strada già segnata. Tenere alta anno dopo anno la qualità raggiunta necessita di molto impegno e concentrazione. A breve completeremo il giardino delle anfore che si aggiungerà alla cantina, un luogo esterno con un tetto a protezione dei vini messi ad affinare. E poi noi siamo sempre molto lenti nel mettere in atto una decisione presa. I vini escono dopo almeno sette anni. Questo significa che qualsiasi cambiamento fatto lo potresti percepire dopo una decina d’anni”.