di Stefania Petrotta
Parafrasando un film degli anni Novanta, sono giovani, carini e… molto occupati in una professione che li accomuna.
Lei è Martina Caruso, 30 anni, chef del ristorante una stella Michelin “Signum” di Salina, nelle Isole Eolie, e di recente è stata inserita tra le 100 donne di successo del 2020 dalla rivista Forbes Italia. Lui, Giacomo Caravello, coetaneo di Martina e suo ex sous chef, da poco più di un anno è lo chef e il titolare del ristorante “Balìce” di Milazzo, sempre in provincia di Messina. Li coinvolgiamo in un’intervista doppia in virtù di un’amicizia cresciuta negli anni che vede due caratteri all’opposto incontrarsi su quelli che sono i principi fondamentali delle loro vite. Lei timida, dolce e di poche parole; lui sempre allegro e, al contrario di lei, gran chiacchierone.
Iniziamo dalle domande canoniche. Ditemi del vostro lavoro: vi piace? Da quanto lavorate in questo campo?
M: “Ormai sono 10 anni. Mi piace molto”.
G: “Se mi piace? Per forza, altrimenti non potrei farlo da 7 anni”.
Da bambina/o, cosa sognavi di fare da grande?
M: “Ora vi stupirò: per tutta l’infanzia ho sognato di diventare carabiniere. E considerate che giocavo anche a calcio! Però già a 14 anni avevo virato verso la cucina”.
G: “Tutto tranne il cuoco: astronauta, pompiere, perfino il notaio… ero molto pratico. (ride) E poi, a partire dai 14 anni circa, ho sentito forte questo richiamo, ma inizialmente, ho lasciato andare la cosa, tant’è vero che mi sono diplomato al liceo scientifico. Finite le scuole, mi sono anche messo a lavorare con mio padre e mio zio come agente di commercio. Poi, verso i 24 anni, mi sono reso conto che ero insoddisfatto e ho pensato che, prima di diventare troppo grande, dovevo assolutamente provare a seguire la passione per la cucina. Ho venduto la macchina, ho dato il preavviso e mi sono iscritto all’Etoile Academy di Boscolo. Per tutti, famiglia e amici, stavo facendo un salto nel buio, ma non per me”.
Raccontatemi di come vi siete conosciuti.
M: “Ci siamo conosciuti alla fine del suo stage dagli Alajmo. Un amico comune ci aveva messi in contatto perché Giacomo aveva espresso il desiderio di venire a fare un’esperienza. Ha parlato con mio fratello Luca, si sono piaciuti, e così è arrivato a Salina”.
G: “Ero a Padova a fare uno stage dai fratelli Alajmo. Non ero mai stato al Signum e non conoscevo i fratelli Caruso personalmente, ma la loro realtà mi attraeva moltissimo e io volevo tornare a casa. Così mandai il mio curriculum attraverso un amico comune. Pochi giorni dopo sono stato contattato da Luca, siamo entrati subito in sintonia e, come spesso accade a chi fa il mio mestiere, sono stato assunto a distanza. Poi ho conosciuto Martina e ho iniziato la stagione 2015 al Signum come commis”.
Cos’hai pensato di lui/lei la prima volta che l’hai visto/a?
M: “Mi ha dato subito l’idea di essere un ragazzo in gamba, che non si sarebbe mai arreso e che avrebbe lasciato un bel segno al Signum. Si vedeva che gli piaceva molto la cucina. Ma soprattutto quello che mi ha colpito di più, e di cui ho avuto conferma negli anni, è stata la sua educazione, il profondo rispetto che aveva ed ha per il lavoro e per il rapporto umano. Abbiamo instaurato da subito un ottimo rapporto, anche al di fuori dell’ambito lavorativo, e che ha coinvolto anche la mia famiglia. Ma anche da parte mia, l’amicizia nei suoi confronti si è estesa alla sua famiglia. Tuttora sento di avere una seconda famiglia a Milazzo”.
G: “La prima volta che ho conosciuto Martina avevo una sorta di timore misto a soggezione. Penso che sia quello che provano tutti gli ultimi arrivati in una cucina quando si trovano davanti allo chef, specie se noto e con tanti riconoscimenti alla spalle. Però abbiamo avuto la fortuna di aver instaurato, sin da subito, un bel rapporto di complicità in cucina, siamo entrati immediatamente in sintonia e io mi sono trovato a mio agio dal primo momento. Il secondo anno sono stato investito del ruolo di capo partita dei primi, che è la partita a cui lei è più legata perché quella che ha seguito anche lei nel passato. Da lì, il nostro rapporto è ulteriormente cresciuto, siamo diventati davvero amici e abbiamo cominciato a frequentarci anche al di fuori. Professionalmente, ha iniziato a portarmi con sé anche a tutti gli eventi a cui partecipava. Ho quindi cominciato a farle da spalla finché, già la terza stagione, non mi ha chiesto di diventare il suo sous chef. Devo molto a Martina, da tutti i punti di vista”.
Tra amici si scherza, ci si prende in giro… Vi siete mai dati dei soprannomi?
M: “Non che io ricordi.. (ridacchia) In realtà, scherziamo sempre, lo chiamo spesso baffetto. Qualche volta anche Jack”.
G: Come no? Lei mi chiama tuttora in tanti modi per insultarmi. (scoppia a ridere) A parte gli scherzi, questo sfottò è stato sempre fatto in maniera molto carina e scherzosa. E tassativamente solo fuori dal contesto lavorativo. Io sono molto rispettoso dei ruoli, quindi in cucina per me lei è sempre stata lo chef e basta”.
Cosa ti piace di lui/lei lavorativamente parlando, ma anche nel privato?
M: “Io penso che, se ci siamo trovati così in sintonia, è perché abbiamo la stessa idea di cucina. Mi piace anche molto che abbia questa capacità di scindere il rapporto personale da quello professionale. Ha una personalità molto seria sul posto di lavoro e all’esterno è invece un amico vero, una persona su cui puoi davvero contare, comunque rispettoso, che crede moltissimo nei valori della famiglia e dell’amicizia, che poi sono anche i valori in cui credo io. E poi, ripeto, è molto educato. Insisto su questo punto perché purtroppo al giorno d’oggi persone così educate non se ne trovano spesso in giro”.
G. “Martina, dal punto di vista professionale, mi piace perché ha gli attributi giusti per essere chef, ma, al contempo, ha quel punto di vista e quella grazia femminili che le consentono un giusto equilibrio in cucina, perché per gestire al meglio una brigata occorre essere autorevoli e allo stesso tempo umani. E probabilmente, se in cucina è tanto rispettata, è anche per questo. E poi mi piace il suo approccio, quella sorta di istinto a tratti incosciente, se mi concedete il termine, di fare le cose in maniera sempre molto naturale. Potrei definirlo anche coraggio perché si butta e prova, anche contro qualsiasi logica e devo ammettere che, alla fine, i risultati le hanno dato sempre ragione. Mi piace anche perché è genuina, molto trasparente, penso che questa sia la qualità principale che abbia fatto durare nel tempo il nostro rapporto. Abbiamo caratteri molto diversi, ma ci siamo sempre venuti incontro, nel lavoro come nel privato. Vorrei aggiungere una cosa per me importante: al lavoro, alla base di tutto c’è sempre stato “il progetto“, quello che stavamo facendo era il motore. Luca in questo è un elemento fondamentale perché dà le linee guida dei progetti del Signum e ti motiva. Noi siamo corsi dietro le sue idee e ne abbiamo condiviso attivamente tutte le scelte e, viceversa, lui non ci ha mai fatto mancare supporto ed incoraggiamento. Devo molto anche a lui”.
Ok, passiamo ad un argomento decisamente più faceto: vi siete mai presi una ciucca insieme? Qual è il tuo drink preferito?
M: “Forse il vodka lemon… no, no, decisamente il margarita. E (trattiene un sorriso) sì, l’abbiamo presa…”.
G: “Una? Ne abbiamo prese tantissime! (ride spudoratamente) Riguardo al drink, sarò scontato perché dicono che sia quello preferito dalla maggior parte degli chef, ma, a mia memoria, è sempre stato il gin tonic”.
Tra i suoi piatti, quale avresti voluto aver pensato tu?
M: “Un piatto del suo ultimo menù. Sono sarde arrosto al salmoriglio con barbabietola e bagna cauda all’aglio nero. Davvero un bel piatto, equilibrato sia nelle consistenze che nei sapori”.
G: “Lo spaghetto aglio, olio e peperoncino in guazzetto di mare e prezzemolo, che è uno dei piatti più vecchi del Signum. Trovo che nella sua semplicità sia perfetto e rappresenti in pieno il pensiero che c’è alla base della cucina di Martina”.
Chef preferito?
M: “Sono due: Pino Cuttaia del ristorante due stelle Michelin “La Madia” a Licata, in provincia di Agrigento, e Ana Roš del ristorante Hiša Franko a Kobarid, in Slovenia, anch’esso bistellato”.
G: “Il mio conterraneo Christian Puglisi. Ricordo la cena fatta al suo ristorante una stella Michelin, il “Relæ” a Copenaghen, in Danimarca, come una delle esperienze più belle della mia vita”.
Ci anticipi un piatto del tuo prossimo menu?
M: “Mi piacerebbe ma, se è vero che sto già pensando a dei piatti nuovi, è anche vero che apriremo a fine marzo, se tutto va bene, e quindi è un po’ presto”.
G: “Certo! Doveva uscire questa settimana, ma ovviamente è saltato tutto. Si tratta di un secondo: sogliola, dashi, salsa al prezzemolo e plantago”.
Come trascorrerai le tue giornate in questo periodo “di ferie”, in cui è praticamente impossibile muoversi?
M: “Noi abbiamo chiuso la stagione a metà ottobre, come ogni anno, e solitamente approfitto di questo periodo per partire. Quest’anno resterò tra Catania e Salina con il mio compagno. Ci stiamo dedicando alla riscoperta del contatto con la natura attraverso le meraviglie che il nostro territorio ci offre. Lavoriamo ogni giorno all’orto di casa, siamo impegnati nella raccolta delle olive, andiamo a pescare. Mi sto anche dedicando alla riscoperta delle preparazioni che si sono perse nel tempo, magari per colpa della fretta o per i troppi impegni. Insomma sarà un periodo di riposo ma anche di sperimentazione tra terra e cucina”.
G: “So che può sembrare strano, ma mi approccio a questo periodo con una tranquillità e un’energia che sicuramente all’epoca del primo lockdown non ho avuto. Quella è stata una botta tremenda, sia dal punto di vista psicologico che da quello economico, perché venivamo dall’inverno ed era proprio quello il periodo in cui avremmo dovuto ricominciare a lavorare, a prepararci per la stagione più proficua. E invece abbiamo dovuto bloccare tutto. E poi abbiamo affrontato una situazione nuova per noi, quindi anche difficile da gestire. Ora invece veniamo dalla fine di una stagione entusiasmante e siamo preparati, abbiamo avuto il tempo di mettere in remi in barca. Vivrò quindi questo periodo di riposo forzato con serenità, ma soprattutto mi riprometto di leggere tantissimo, cosa che, nonostante io sia un lettore assiduo, non sono riuscito stranamente a fare durante il lockdown. Insomma, visto che non potrò farlo fisicamente, viaggerò attraverso i libri”.
Cosa faresti se vincessi il superenalotto?
M: “Cercherei di realizzare tutti idesideri miei e dei miei cari. Comprerei una bella barca, viaggerei tantissimo, ma soprattutto getterei le basi per costruire un futuro felice e sereno con il mio compagno, magari aprendo insieme un’attività”.
G: “Di una cosa sono certo: resterei comunque a Milazzo. Questa è la mia casa ed è qui che ho investito. Mi immagino che il mondo del cibo sarebbe sempre la mia vita, però magari non più dietro ai fornelli, perché in realtà da sempre, più che essere attratto dal mondo della cucina, sono stato attratto da quello del cibo tout court. Chissà, magari sarei un produttore nell’agroalimentare”.
Bene, questa intervista doppia giunge al termine e quindi chiudiamo con una domanda che, mai come in questo momento storico, casca a fagiolo: come vedi il bicchiere?
M: “(sorride) La verità? Lo vedo a metà. Non voglio essere pessimista, ma in questo momento ho grosse difficoltà a pensare positivo. Mi sento abbandonata, come cittadina e come professionista. Ho l’impressione di essere nel pieno di uno scontro bellico, ma senza che vi sia davvero una guerra. Il primo lockdown l’ho accettato con più fiducia: è arrivato qualcosa che non conoscevamo, siamo stati tutti quanti a quello che ci dicevano di fare, dovevamo per forza fidarci perché non avevamo idea di cosa si trattasse, sembrava quasi di essere i protagonisti di un film. Ma oggi ho la sensazione che tanti mesi siano stati sprecati, che non è stato fatto tutto il possibile dagli organi competenti per aggiustare il tiro, incrementare la sanità e assicurarci un futuro, non dico libero dal virus, ma quanto meno più tranquillo. Sono molto sfiduciata”.
G: “Assolutamente mezzo pieno! Ho scoperto di avere un’inesauribile vena di ottimismo che davvero non pensavo di avere. Sono certo che, se riusciremo a gestire questo momento con criterio, da aprile in poi saranno anni di grandi soddisfazioni, non solo per la mia attività, ma proprio per tutto il territorio di Milazzo, perché sono mesi che avverto un grande fermento qui che mi inducono a guardare al futuro con grandi prospettive”.