Parla una delle tre finaliste italiane al concorso Ambassadeurs du Champagne
Viene dalla Transilvania e ha cittadinanza italiana.
Ex miss, ex modella, ex ragazza copertina per case di gioielli e make up, laureata in economia con un master Mba e prossima alla laurea in Giurisprudenza, ha lavorato come interprete e si è occupata di investimenti finanziari, parla cinque lingue, ha girato più di 50 Paesi del mondo, diplomata Ais, è docente e relatrice presso l’Italian Chef Academy, fa la consulente marketing per aziende vinicole, scrive sulla stampa specializzata, ama mangiare e soprattutto cucinare.
Marinela Vasilica Ardelean è tra le finaliste italiane, insieme a Livia Riva e Claudia Bondi, che aspira al titolo Ambassadeurs du Champagne, promosso dal Comité Interprofessionnel du vin du Champagne. Donna caleidoscopica e in continua evoluzione, proprio come lo Champagne, una e centomila verrebbe da dire ascoltando il racconto della sua vita, “dalla doppia personalità” invece precisa lei: romantica da un lato, determinata e ambiziosa dall’altro.
Con Marinela concludiamo il focus dedicato alle concorrenti che partecipano ad uno dei banchi di prova più prestigiosi a livello internazionale. Le parliamo al telefono mentre a bordo della sua macchina percorre le strade della Champagne. Si sta preparando così per la prova di settembre, che si terrà il 18 a Milano, girando in lungo e in largo per i territori della regione, assaggiando e confrontandosi con i protagonisti, piccoli e grandi, di questo mondo.
Ci racconta i colori del cielo della Champagne e i paesaggi che sta ammirando, sprizza l’entusiasmo di una bambina e con il ritmo di una parola al microsecondo, propensa alla chiacchiera come detta il cromosoma X, ci spiega anche il suo rapporto con il vino re di Francia.
Come sei arrivata al vino?
“Tutto parte dalla buona cucina e dalla buona tavola. Mia mamma ha fatto la cuoca per venti anni. Mi ha educato al gusto, alla gastronomia, insegnandomi a mangiare bene. Diciamo poi che sono una persona estremamente curiosa. Intanto annuso tutto. Amo sentire i profumi di qualsiasi cosa io abbia davanti, praticamente un cane da caccia (si mette a ridere). Mi piace capire cosa c’è dietro ai piatti, da dove sono partiti, carpire l’emozione che un piatto può regalare. Sono golosa e mi diletto a cucinare in modo creativo, in questo mi ha aiutato il fatto di viaggiare così tanto, di sperimentare diverse culture e territori. In poche parole, al mondo del vino mi ci porta un amore spudorato per la vita”.
Come è nata la passione per le bollicine?
“Per sfida. Per caparbietà femminile. Mi ero innamorata di un produttore, non capivo ancora allora molto di vino e per dimostrare che potevo essere all’altezza mi sono messa a studiare e ho concluso tutto il percorso Ais. E quando ho cominciato ad applicarmi ho scoperto che dietro al vino c’era tanto altro, tanta storia, cultura. Devo dire che l’Italia l’ho scoperta proprio attraverso il vino. Poi, vivendo in Veneto dove le bollicine non mancano, ed essendo donna, sensibile al piacere dell’ebrezza, il passo verso lo Champagne è stato automatico”.
Hai avuto delle guide in questo percorso verso il mondo dello Champagne?
“Si tante. Ad una in particolare devo tantissimo. Uno dei più grandi conoscitori, per me, dello Champagne. Mi ha trasmesso l’altra faccia di questo vino, facendomi conoscere quello che molti ignorano: un amore profondo coltivato nel tempo”.
Vogliamo il nome
“Alessandro Scorsone”
Cosa hai trovato di speciale nello Champagne?
“Il fatto di essere come un abito da sposa. Capisci esattamente che è il tuo appena lo indossi”.
Il tuo preferito?
“Non saprei che rispondere. Perché si può essere fedeli ad un vitigno ma è difficile trovare il proprio Champagne del cuore, perché, parlo da persona appassionata, il mio gusto è in costante evoluzione e di volta in volta ogni Champagne è un’esperienza unica e sempre diversa. Posso dire che ci sono maison che apprezzo molto per come si comportano nei confronti del territorio e del consumatore. Krug, per esempio, è un mito. O Pol Roger o Bollinger. Da non dimenticare però che i Blanc de Blancs di Bruno Paillard e di Paul Goerg riescono ad emozionare anche un palato pinonerista”.
Ma c’è una tipologia che apprezzi più delle altre?
“Il Blanc de Noir. Io sono Blanc de Noir. Amo poi l’evoluzione dello Champagne. Apprezzo anche la freschezza di uno giovane. Del resto, il territorio è rinomato per questo, per la freschezza, la mineralità e la facilità di beva. Poi dipende sempre comunque dal momento della giornata e dallo stato d’animo in cui mi trovo”.
La bevuta più memorabile?
“Ce ne sono state due. Essendo molto romantica, una volta organizzai una cena a sorpresa in un castello curando per l’occasione una selezione di Champagne, volevo corteggiare la persona che mi piaceva con le bollicine, ed è stato emozionante. L’altra, invece, vede me come oggetto del corteggiamento. Si mise in atto una sfida. Gli uomini mi vedono come una molto sofisticata, difficile da accontentare. La persona che voleva conquistarmi mi disse che avrebbe trovato lo Champagne per me, e mi ha portato di tutto”.
E l’ha trovato?
“No. Ancora è alla ricerca”.
Cosa bevi nella vita di tutti i giorni?
“Esattamente quattro cose e nient’altro ogni giorno: acqua, tè, caffè e Champagne. Davvero, è proprio così’! Certo, degusto tanto altro, ma lo Champagne è un rito quotidiano”.
A cosa associ lo Champagne?
“Pensando ad una combinazione di vitigni. Per esempio una maggiore percentuale di Pinot Noir mi fa pensare a Chanel, lo Chardonnay a Christian Dior. Oppure, pensando alle automobili, il Pinot Noir lo vedo come la Bentley mentre lo Chardonnay come la Ferrari, o se vogliamo associarlo alla musica, questo vitigno mi dà le sensazioni del Jazz. Il Pinot Noir è troppo complesso, non so bene a che genere di musica potrei associarlo, sicuramente ad una musica ritmata, un po’ nervosetta, non per tutti”.
Cosa pensi dei produttori della Champagne?
“Quello che mi stupisce è che non c’è gelosia o invidia, anche nei piccoli quando parlano delle maison. Hanno sempre grande rispetto, non finiscono mai di mostrare riconoscenza, e ribadiscono che se non fosse stato per i grandi brand loro non avrebbero quello spazio nel mercato che oggi detengono, riconoscono il merito di avere aperto la strada nello scenario internazionale. C’è complicità e spirito sportivo. Però non bisogna dire che sono più bravi degli italiani. Sono diversi. Curano il loro fazzoletto di terra con tanto orgoglio e costanza, senza perdere mai di vista le origini. Poi quello che mi piace è che mantengono il loro territorio vergine. Non ci sono negozi, merchandising, cineserie se vogliamo chiamarle così. E sorprende la loro disponibilità verso l’interlocutore, il visitatore. Non lo valutano, non lo pesano, non importa se sia un importatore, un distributore o un commerciante, trattano tutti allo stesso modo, in questo sono diversi dagli italiani che invece si comportano diversamente a seconda di chi si trovano davanti. Puoi giungere alla loro azienda anche fuori orario di visita e li trovi sempre disponibili ad accoglierti. Il loro approccio è umile e genuino”.
Dato che sei brava a cucinare, qual è l’abbinamento perfetto con lo Champagne?
“Ancora per me non c’è. Sono alla continua ricerca dell’abbinamento perfetto. Per esempio per me si sposa bene alla cucina mediterranea, a certi nostri formaggi e al pesce crudo, ai sapori semplici, ai piatti poveri. Il Blanc de Noir lo apprezzo con le carni bianche. E poi devo dire che lo Champagne può impreziosire qualsiasi pietanza preparata con quello che trovi nel frigo o in dispensa. Non bisogna essere intimoriti dallo Champagne. Vederlo come un’icona, costoso e abbinabile solo a grandi piatti raffinati e ricercati”.
Manuela Laiacona