Giornale online di enogastronomia • Direttore Fabrizio Carrera
L'intervista

Olio come una volta? “Ma quando mai. Usiamo la tecnologia per avvicinarci alla Spagna”

09 Ottobre 2020

di Giorgio Vaiana

Grande conoscenza del mondo dell’olio, non solo italiano, ma mondiale, Salvatore Camposeo, docente di arboricoltura generale e Coltivazioni arboree del dipartimento di Scienze Agro-Ambientali e Territoriali dell’Università degli Studi di Bari Aldo Moro, fa il punto della situazione.

Sciorinando numeri a avvisando i produttori italiani. Se si dovesse continuare così, Camposeo non ha dubbi: nel giro di dieci anni l’olivicoltura, soprattutto in Puglia, è destinata a sparire. Ma facciamo ordine e partiamo proprio dai numeri. In Puglia si produce il 10 per cento di tutto l’olio che si produce nel mondo e oltre la metà di quello prodotto in tutta Italia. Solo per fare un esempio, il comune di Andria ha in coltura una superficie qiasi pari a quella dell’intera regione Umbria. I numeri danno dunque la giusta dimensione del fenomeno “Olio pugliese”. Insieme alle altre regioni del Sud, Sicilia e Calabria in testa, viene prodotto il 70 per cento dell’olio italiano. Ma tutto questo olio non è sufficiente a “coprire” la richiesta di olio del mercato interno. E qui scatta il paradosso. L’Italia vende il suo olio all’estero. Ma non è grado di gestire la propria domanda interna, tanto da essere il più potente importatore di olio al mondo proprio dal suo principale competitor, che è la Spagna. E anche qui Camposeo fornisce dati interessanti. In Italia ci sono 1,1 milioni di ettari di uliveti. La Spagna ne ha praticamente il doppio, circa 2,2 milioni di ettari, ma produce dieci volte di più dell’olio fatto in Italia. “Allora bisogna farsi delle domande – dice Camposeo – perché è chiaro che qualcosa non funziona”. Il problema, secondo Camposeo, è la mancanza di cultura dell’olivo e dell’olio: “Siamo ancora legati ad un’agricoltura del passato, fatta di antichi retaggi – dice il docente – Il mondo va avanti e credo che bisogna abbandonare la figura del “coltivatore della domenica”, per mettere in campo gente preparata e che sappia usare la tecnologia del XXI secolo”. Già, perché secondo Camposeo in Italia è ancora il trionfo dell’olivicoltura “contemplativa” e “fai da te”: ciò non è più sostenibile. “I giovani laureati dell’ateneo barese che vanno a fare stage nelle aziende si rendono conto delle irrazionalità di quello che poi materialmente vedono eseguire sul campo”.

Insomma, l’olivicoltura italiana non riesce a stare al passo con i tempi. “Il problema – dice Camposeo – è che in Italia, dico in generale, per il mondo dell’olio non valgono le regole dell’economia, ma quelle del paesaggio naturale e della musealizzazione. E così, poi, a lungo andare si scopre che non è un settore remunerativo e si abbandonano gli uliveti. Un fenomeno preoccupante e in grandissima crescita che può determinare anche veri e propri disastri idrogeologici. Quello che è successo in Liguria è in parte legato all’altissimo numero di oliveti terrazzati incolti e abbandonati”. Ricette dunque per una soluzione? “Credo sia necessario fare cultura dell’olio per una coltura perfetta e migliore – dice – Bisogna affidarsi a gente preparata e imparare, mi riferisco alla Puglia in particolare, a fare quello che ha fatto il mondo del vino. Da queste parti non si vedono più i treni carichi di vino che lasciavano la nostra regione. Ora si fanno grandi eccellenze. Ecco, l’olio deve seguire lo stesso filone. Evolversi e puntare all’eccellenza”.

Quest’anno il raccolto si presenta a due facce: la zona nord e sud della regione vivranno una buona annata, con numeri importanti. Mentre la zona centrale risente ancora della terribile gelata di due anni fa che ha devastato i raccolti. Buone notizie anche per la zona salentina, devastata dalla Xylella. Dagli ulivi non intaccati si farà grande qualità. A proposito di Xylella, in questi giorni si parla del raccolto delle olive della specie Favolosa, risultata immune al batterio killer: “Sono belle notizie e che studiamo ormai da anni – dice Camposeo – Si tratta di una cultivar che dà un olio buonissimo, ma che va affidata esclusivamente a gente competente”. In Puglia, come nel resto d’Italia, però, c’è molto da fare sopattutto sulla conoscenza dell’olio. “Spesso quello che è un pregio viene scambiato per un difetto e viceversa – dice Camposeo – Ancora non capisco perchéla gente è disposta a spendere 15 o 20 euro per una bottiglia di vino che finisce in pochissimo tempo e non lo stesso prezzo per una bottiglia di olio che dura giorni. C’è ancora tanta strada da fare”.

Poi una precisazione: “Un olio che costa 50 euro non è detto che sia più buono di un olio che costa 5 euro – dice il docente – Oggi i parametri per produrre olio extravergine sono assai ampi, un po’ per riuscire a fare entrare tutto. Da quest’annata abbiamo istituito l’Olio di Puglia Igp, che ha parametri più stringeti. Ecco, credo che bisogna ripartire da qui, dall’obiettivo di fare assoluta sostenibilità. I mercati risponderanno di conseguenza”. E poi la previsione: “Se si dovesse continuare così, nel giro di dieci anni l’olivicoltura in Puglia sarà estinta – dice Camposeo – I passi da gigante li stanno facendo le aziende vere. Mentre rimangono ancora in giro troppo micro-produttori per l’auto-consumo, ancorati a sistemi irrazionali che non portano a nulla se non quello di conservare il paesaggio. Ma fino a quando? Bisogna razionalizzare tutto, affidarsi a gente esperta e rivedere tutti i sistemi di coltivazione. Solo così riusciremo a vincere la scommessa della sopravvivenza dell’olivo e dell’olio italiano”.