(Lingzi He)
di Francesca Landolina
Lingzi He, 26 anni scrive per winecult.it>, un giornale sui vini italiani in lingua italiana e in inglese. Ha collaborato con TasteSpirit.com scrivendo di vini di Bordeaux per due anni. E lavora con Vinitaly International Academy in Cina.
Il suo primo amore nel mondo del vino è stato un Saint Aubin. “L’ho degustato per la prima volta a Hong Kong e quel Borgogna bianco mi ha fatto innamorare. Da quel momento ho capito ciò che volevo fare nella vita. Parlavo francese e ho studiato nel commercio di vino a Bordeaux, dove sono rimasta a vivere, per le molte opportunità che dà quel territorio. Ho cominciato a lavorare come giornalista freelance, per una scuola di vino e da allora non ho più smesso”, racconta Lingzi.
E i vini italiani? Arriva anche il momento nella sua giovane carriera di conoscerli meglio. “Dopo due anni di lavoro a Bordeaux, ho lavorato per Decanter a Londra; mi sono innamorata dei vini italiani perché credo che l’Italia del vino sia più complessa e divertente per la varietà che offre e per i suoi innumerevoli stili – spiega -. Ti imbatti nella particolarità di un vitigno con cui tutto è possibile e dalle cui uve può nascere un rosso, un bianco, un metodo classico, un rosato”.
L’Italia del vino affascina di certo gli stranieri e Lingzi ne spiega anche il motivo. “Il vino in Italia, oltre ad essere complesso e sempre sorprendente, è collegato al cibo e ogni regione ha il suo distintivo modo di combinarlo ad esso. Non c’è la stessa regionalizzazione tra cibo e vino in Francia, che per questo, è meno divertente. Ma ovviamente il mio è un pensiero personale”.
Lingzi He, nei giorni scorsi, è stata coinvolta nel nostro press tour alla scoperta dell’Etna del vino. La sua prima volta in uno dei territori dal grande fascino, oggi identificabile come uno dei terroir più emozionanti al mondo.
“Penso che la fama dell’Etna sia meritata. Ci sono le nuove generazioni che fanno il futuro, ma stupisce la storia della Montagna. Ho visitato i palmenti. E mi hanno dimostrato come il passato del vino sull’Etna è importantissimo. Prima di venire qui, avevo assaggiato Nerello Mascalese e Carricante a Londra. In nessuna parte del mondo ci sono questi vitigni così nobili. Hanno uno stile nuovo, molto alla moda, perché minerale e con una bella acidità, che ben si adatta al cibo. Tutti oggi vogliono freschezza e lo stile dell’Etna è molto apprezzato”.
“All’inizio non conoscevo le contrade – prosegue – e non sapevo che esistevano da un così lungo tempo. Ho visitato quelle di Feudo Di Mezzo, Rampante, Guardiola, Passopisciaro, Arcuria, Caselle a Milo, saltando da un versante all’altro del vulcano. Sono terre che da anni e anni mantengono una diversità emozionante. Prima di venire qui pensavo che l’Etna fosse un vulcano, un unico terroir. In un solo giorno, ho visto cambiare il suolo, la vegetazione, e perfino il clima. Siamo partiti con il sole a Randazzo e siamo stati investiti dalla pioggia a Milo. Ci sono tante facce dunque sull’Etna, in cui a fare la differenza sulla maturità delle uve è non solo il suolo o l’esposizione ma pure il clima. Affascinante e misterioso è poi capire come può cambiare così tanto il vino, da un pezzo di terra ad un altro”.
E sui vitigni etnei? “Carricante e Nerello mi piacciono entrambi – afferma – perché hanno una acidità e una purezza di frutta sorprendenti soprattutto se vinificati in acciaio. Il bianco Aurora de I Vigneri lo trovo molto puro e minerale, così come il rosato Vinudilice. Ho apprezzato anche i vini di Franchetti della cantina Passopisciaro; il Narello Mascalese Contrada R (Rampante) e Etna Rosso Arcuria Graci 2013.
Ma ci sono gap da colmare per quanto riguarda l’Etna del vino? Secondo Lingzi occorre continuare a valorizzare le contrade per far comprendere le loro diversità al mondo. “La forza dell’Etna è proprio il sistema delle contrade, che è unico – afferma -. La gente sa che l’Italia è complessa. E parlare di contrade sulle etichette è importantissimo per farle conoscere al consumatore. Oltre a scrivere in etichetta Etna Rosso o Etna Bianco, aggiungerei il nome delle uve. Non penso ci sia il rischio di confondere il consumatore, perché l’Etna ha una piccola produzione”. “Il vino dell’Etna non è il vino per il mondo – sottolinea Lingzi -. Ha un mercato di nicchia. Ma al contempo possiede un’immagine di prestigio e questa complessità serve, perché c’è ed è la sua forza. La sua vera identità. Questa è una strategia che a lungo termine si può rivelare un successo”.