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L'intervista

L’estate di… Salvatore Passalacqua: in Sicilia rarissime le ricotte di qualità, serve svolta

30 Agosto 2022
Salvatore Passalacqua Salvatore Passalacqua

di Dario La Rosa

Le invenzioni sono da sempre quelle che hanno mosso l’uomo verso il miglioramento della qualità della vita verso un futuro pieno di opportunità.

L’inventore di cui parliamo adesso ha aggiunto alla nostra vita una cosa meno importante, non so della lampadina o della radio, ma altrettanto significativa: il gusto. Salvatore Passalacqua, da Castronovo di Sicilia, piccolo centro dei monti Sicani in provincia di Palermo, è infatti “l’inventore” di quel formaggio squisito chiamato Tuma persa. E anche per questo nell’ormai lontano 2008 è stato premiato come Migliore produttore di formaggio con il Best in Sicily nella prima edizione del riconoscimento ideato da Cronache di Gusto.

Ci racconti l’estate di un produttore di formaggio. Come ha trascorso le sue vacanze?
“Il nostro è un mestiere strano perché, anche se in effetti il latte diminuisce tanto durante l’estate e si lavora di meno, si tratta di un’attività in cui non ti puoi mai fermare. In più non avendo un’industria ma una piccola impresa occorre fare i turni e il fesso di turno è sempre il titolare (ride, ndr). Si rallenta un po’ tutto d’estate ma non ci sono tanti margini. Certo, qualche domenica nei dintorni l’abbiamo fatta. Non sono uno da spiaggia ma un tuffo a mare vale sempre la pena farlo. Abbiamo in più l’aggravante di quattro bellissimi cani che ci tengono legati a loro, non possiamo di certo lasciarli soli. Andremo a breve a Napoli per unire lavoro e relax”.

Lei è l’inventore o comunque il padre della Tuma persa. Ci racconti di questo formaggio, non tutti ne conoscono l’origine.
“In sintesi, questo formaggio da latte bovino, nasce grazie al mio amico Roberto Rubino (fondatore dell’Associazione nazionale formaggi sotto il cielo, ndr) con cui ci conosciamo da quasi 30 anni. Allora io producevo solo il fior di Garofalo sicano. Questo formaggio ci ha fatti conoscere in giro e un giorno lui ha trovato una pubblicazione del 1930 in cui si parlava di un formaggio ma al passato. Roberto ha iniziato tormentarmi perché voleva rifacessi questo formaggio. Ho accettato la sfida ma mi sono dovuto ingegnare facendo l’operazione inversa. Nel libro, infatti, si parlava del gusto di questo formaggio ma non della sua ricetta. Mi sono chiesto: cosa fare per arrivare a questo sapore descritto nel libro? Così pian piano è nata la Tuma persa”.

Sul nome circolano leggende metropolitane. Ci dica, perché si chiama così?
“Si chiama persa perché nella prima fase di produzione il formaggio viene abbandonato a sé stesso. In realtà non è esatto perché il processo di maturazione e stagionatura resta comunque sotto controllo”.

Il suo è uno dei simboli del formaggio siciliano. Come ritiene che stia il comparto nell’Isola?
“Non benissimo. Intanto perché ci sono ad esempio tante aziende che producono e vendono quello che chiamo pseudo formaggio. Un aspetto che mortifica i formaggi siciliani è la crema di ricotta per i cannoli. La ricotta viene da fuori, lo zucchero usato è eccessivo…per questo motivo stiamo lavorando a un disciplinare delle ricotte siciliane ed entro settembre speriamo di poter fare richiesta al ministero, per far sì che termini questa terribile storia”.

Le sue parole intaccano il mito del cannolo. Dove e come mangiare allora un buon cannolo come si faceva una volta?
“Ho difficoltà a rispondere. Lo dico con rammarico. Questo perché negli anni non si è creato nessun cartello per difendere il prodotto e ormai è troppo tardi. Torniamo al discorso di prima, dell’importazione, dello zucchero e via dicendo. Attenzione, ci sono anche produttori di latte di altissima qualità, ma in questo senso io i clienti di ricotta ce li ho fuori dalla Sicilia. Nell’Isola c’è un po’ la guerra dei poveri”.

Il latte e la sua qualità. Che ci dice dell’importanza del latte crudo, suo vecchio cavallo di battaglia?
“Prima ero abbastanza fermo su alcuni punti, ma crescendo, anche dal punto di vista della conoscenza tecnica, mi sono reso conto che è sì importante il latte crudo ma è più importante la qualità del latte. A volte abbiamo formaggi a latte crudo che esaltano i difetti di un latte sporco o scadente. Ormai da anni attuiamo un processo che tiene il latte a 62-64 gradi che uccide le cariche batteriche rischiose, ma diverso dalla pastorizzazione che si ottiene dai 74 gradi. Questa differenza è importante e fondamentale tra un crudo e un pastorizzato, ma comunque si deve partire da un latte di alta qualità. Se il latte è buono anche il formaggio “pastorizzato” sarà di grande qualità”.

E degli animali? Degli allevatori? La Sicilia ha un clima che dovrebbe essere favorevole.
“Anche gli animali risentono della crisi dei settore, gli allevatori non possono campare. Non è così vero che gli animali possono stare solo al pascolo, per farlo ci vorrebbero le pampas. Non esistono aziende che possono vivere solo di pastorizia. Il carburante agricolo è arrivato a 1,50 euro. Il settore è in crisi. Quando vedi che la grande distribuzione vende a prezzi stracciati non riesci più a recuperare”.

Neanche il “km zero” può ritornare ad essere d’aiuto?
“In progetto abbiamo un cambio di sito. Andremo verso lo scorrimento veloce Palermo-Agrigento e punteremo anche sulla vendita diretta. Il problema è che fino a 30 anni fa tutte le aziende che avevano animali trasformavano e conferivano direttamente ai commercianti della provincia. Era formaggio fatto come Dio comanda e il commerciante non aveva interesse a regalare il prodotto, tutti riuscivano ad avere il giusto margine. Dagli anni Novanta, con il cambio della legislazione, i vecchi allevatori si sono messi ad aprire caseifici e il sistema è riuscito a inculcare, dopo 2500 anni, che non si poteva fare più formaggi senza fermenti e preparati. I vecchi pecorari si sono riscoperti commercianti, ma non essendo strutturati tentavano di vendere in giro ma spesso dovevano svendere il prodotto. La cosa più grave è che ormai il formaggio si fa con le proteine di latte in polvere che vengono dall’estero. Se non risolviamo questo problema non ne usciamo”.

Chissà se la battaglia sia realmente persa, o se avrà una nuova via, proprio come la sua Tuma. Piuttosto, per concludere, ci dica come ama gustarla.
“Io sono un purista, niente marmellate intanto. Ovviamente ci sta un vino rosso corposo. Personalmente mangio la Tuma persa bevendo Perricone e Nero d’Avola”.

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