di Dario La Rosa
Gennaro Esposito, già il nome la dice tutta sulla sua provenienza e sulla grande bellezza che i suoi luoghi d’origine riescono a trasferire nel piatto.
Due stelle Michelin e due locali da gestire, uno a Vico Equense (a meno di dieci chilometri da Sorrento) e uno nella magnifica vetrina che è Capri.
Come trascorre l’estate uno chef del suo livello?
“Come tutte le estati degli ultimi anni le trascorro al lavoro, è un momento di grande concentrazione di turisti e siamo con la testa dentro le padelle e i fornelli, ci stanno i pesci e tutto il resto. In buona sostanza è un periodo molto pieno, ma per fortuna è un’estate migliore rispetto agli ultimi anni e abbiamo grande motivazione, ora si riesce a lavorare meglio e con buona programmazione. Al di là del lavoro, quando rubo mezza giornata al lavoro cerco di portare i bambini al mare e stare in famiglia”.
Le stelle Michelin e i personaggi di caratura che frequentano i suoi tavoli danno grande prestigio, ma anche responsabilità. Come ci si sente ad essere una sorta di portabandiera dell’Italia e di alcuni dei suoi luoghi più apprezzati nel mondo?
“Sicuramente il fatto di poter toccare tutti i giorni ingredienti eccezionali dà un senso di responsabilità perché gli ingredienti che trattiamo hanno tradizioni e usi millenari. Penso ad alcuni cipollotti che sono presenti anche nelle immagini venute fuori dagli scavi di Pompei. Viviamo in una terra particolarmente ricca di prodotti ed essi sono impregnati di cultura.È affascinante vedere come dei piatti così antichi possano essere al contempo così moderni. Io cerco di sublimare tutto questo, cerchiamo di fare una cucina mediterranea meno scontata ma inaspettata, che ti sorprende con ingredienti casalinghi”.
Se dovesse fare il piatto che unisce tutto lo Stivale?
“Penso che prodotti come il Parmigiano, il crudo, la mozzarella o le verdure sono delle pietanze che mi porterei appresso in una sorta di viaggio nei sapori. Poi l’aceto balsamico, la colatura di alici, ingredienti che purtroppo sono vittime di copiature fatte male. In un piatto ideale cercherei di mettere tutti questi prodotti che sono il meglio dell’Italia. Come si potrebbe vivere senza l’olio d’oliva extravergine? Nel quotidiano credo dobbiamo raccontare questi segni distintivi. A Capri, ad esempio, ho incontrato un giovane agricoltore in gelateria che mi ha dato una bustina di ceci. Me li ha consegnati con una gestualità e sacralità che mi ha messo in imbarazzo. Li ho portati a casa e li ho messi a mollo con cura perché raccontavano una storia. Credere nella terra è il messaggio che mi piacerebbe sentire sempre più spesso”.
Lei è portatore di un messaggio parecchio simbolico. Quando una persona sta poco bene e va dal medico il medico non chiede molto spesso come mangia e invece dovrebbe essere la prima domanda. Il benessere passa dalla qualità dei prodotti, ma come si fa ad orientarsi oggi?
“Chi va a fare la spesa oggi si muove in un labirinto di trappole, i consumi sono fortemente pilotati dalla pubblicità e tutti hanno imparato a non lavorare sulla qualità ma sulla percezione della stessa. Magari hai uno stesso prodotto con un pacchetto differente che alla fine è la stessa cosa. Nella grande distribuzione prodotti di qualità ce ne sono sempre meno. Il vecchio mercato, di contro, offre situazioni più confortevoli ma anche lì bisogna saper scegliere. Ci sono zone d’ombra. Il suggerimento è che, così come stiamo attenti a comprare pantaloni e camicie, anche per il cibo si dovrebbe fare allo stesso modo”.
Andiamo al gossip. Cosa ha cucinato per Jennifer Lopez? Che personaggio le è sembrato sia?
“È una donna che ha una bella storia da raccontare, tenace e professionale. Le ho cucinato perché ha girato uno spot in zona e sono stato sul set con lei. Le ho voluto preparare una classicissimo pranzo su una terrazza italiana d’estate. Ho immaginato questo scenario prima di preparare. Mi sono chiesto cosa avrebbe voluto assaggiare una persona del suo livello. Ho escluso le pietanze pregiate. Quelle non ha difficoltà a trovarle. Ho pensato alle radici, ai profumi del territorio e al senso di unione familiare. Prima ho servito un assortimento di verdure: melanzane, scarola con olive e capperi, i fagiolini alla pizzaiola. Peperoncini verdi fritti. Pomodori a insalata. Chiaramente una mozzarella. La pietanza che le è piaciuta di più è stata una zuppetta di scarola e lenticchie che fa mia madre. Ho voluto regalare il senso di famiglia. Sono quei piatti che sanno di casa.
Che ci racconta del suo futuro?
“Ormai stiamo seguendo da due anni un progetto a Capri, una vetrina internazionale molto bella. Per il momento mi sono concentrato sul ristorante e sto lavorando nella direzione dell’eccellenza assoluta”.
Punta alle tre stelle per Torre del Saracino?
“Sì, credo che sia un lavoro da fare ed è giusto ambire a quel livello per ripagare anni di lavoro. Se saremo bravi e meritevoli e se sapremo continuare con la nostra filosofia, credo potremo arrivarci”.
Che consiglio darebbe a questo punto ai giovani chef che puntano a diventare stellati?
“Se vuoi correre i cento metri in maniera giusta e da professionista devi allenarti, lo stesso vale per chi ha in testa di prendere la stella. Chi ha l’obiettivo deve avere le spalle forti, servono gavetta, tanto lavoro e formazione. Tutto passa attraverso l’aver trascorso del tempo nelle cucine migliori del mondo. Raccogliendo stili e modi di pensare, poi crei il tuo che sarà un mix in cui il tuo pensiero sul cibo verrà fuori. Aprire un locale senza una cucina di spessore non porta alla stella ma ad altro tipo di percorso. La differenza la fa il piatto. Bisogna lavorare sui sapori, sul piatto da mostrare e sugli accostamenti. Bisogna avere una visione della cucina”.
L’ESTATE DI FRANCESCO LIANTONIO>