di Dario La Rosa
Ne è passato di tempo da quando, in Calabria, un viticoltore di nome Francesco de Franco decise di raccontare la sua terra attraverso il vino.
(Leggi questo articolo>). Una scommessa vinta che oggi si tira dietro uno strascico positivo per l’intero territorio di Cirò.
Partiamo dall’estate. La Calabria è meta ambita sia per il mare che per la montagna. Ci dica la sua…
“Estate di lavoro in linea di massima. Chi pensa all’estate di uno che vive vicino al mare crede spesso che stia sempre lì in acqua. Non è così ovviamente. Abbiamo avuto una buona presenza di enoturisti, quindi abbiamo lavorato molto con l’accoglienza. Più che la vendita, questa dell’esperienza a contatto con le persone, è un’ottima possibilità di comunicare il lavoro che facciamo. Siamo comunque stati in Sicilia, ma a vendemmiare”.
Sempre lavoro, quindi?
“Un vignaiolo è sempre immerso in questo loop. Siamo sempre sul pezzo (ride, ndr)”.
Ecco, sul pezzo come quelli che alcuni hanno definito i “Cirò Boys”, i tanti ragazzi che hanno deciso di rientrare o rimanere al Sud e di investire nella terra. Ci parli di quello che sta succedendo nella terra del Cirò, che tra l’altro è anche una doc.
“In questo momento storico c’è una bella energia e grande vitalità. Non so se dipende da una cosa specifica ma stiamo operando a livello di territorio e tutti insieme: un bel lavoro di squadra. Siamo uniti, grandi e piccoli produttori, perché l’idea è che l’azienda sia Cirò e non solo “‘A Vita”, il mio vino o qualche altra cantina. Sembra un pensiero sposato dalla maggioranza, perché si vedono i risultati. Si parla sempre più di noi, tanta gente gira per cantine. Prima si andava al mare e poi in cantina, adesso avviene il contrario. Poi ci hanno aiutato anche i premi che vengono assegnati. Vedo questo come un momento positivo. Il grosso però è ancora da fare, nella consapevolezza di fare vini di territorio invece che soddisfare esigenze commerciali”.
Ci racconti questo vino, allora, come se lo stessimo assaggiando.
“Diciamo che il Cirò, per l’idea che ho io, è un vino che ti parla di sole, di mare e di terra insieme. Di queste argille che in questo momento in cui non piove da tempo sono dure e bruciate. I vini di questa zona hanno questo senso qui. Tanta energia che viene dal sole, tanto mare che arriva dal mare … vini che hanno le durezze della terra e del carattere calabro. Io penso che il Cirò da Gaglioppo sia interprete di questo pezzo di terra. Questa è la mia personale idea”.
Se diciamo Calabria non possiamo non dire sapori. Proviamo a sposare il vino di Cirò con i gusti che meglio gli si addicono.
“Ci sono due espressioni del Cirò e hanno ambedue una grandezza: non riesco a scegliere tra un rosato e un rosso. Il rosato ha tradizione e personalità ma la stessa cosa la racconta il rosso. Il rosato è più quotidiano e per la tavola di tutti i giorni. Ci sta con le sarde salate, uno spaghetto ad esempio si sposa a mio avviso alla perfezione. Un piatto di terra che sa di mare. L’essenza, appunto, di Cirò. Il rosso io dico sempre che è il vino della festa e la festa qui è rappresentata dalla “pasta china”, ovvero pasta al forno ripiena e ricca. Sugo, polpette, caciocavallo. Un tripudio di sapori”.
Come vede il futuro del vino di Calabria e del vostro in particolare?
“Impossibile rispondere. Siamo dentro a un momento strano. Si fa veramente difficile capire a che punto siamo e in che direzione si va. Vediamo difficoltà e incertezze. Questo ci rende frenati”.
Molti guardano al passato, alle radici solide che possano portare al futuro.
“Il ritorno al passato non è tanto un discorso nostalgico ma è quello di riconoscere a un certo modo di lavorare la terra e di allevare la vite una superiorità. Magari farai meno quantità ma sono piante che consumano poca acqua e quindi sono adatte al clima, così come l’uso di varietà autoctone. Ciò porta ad avere piante che hanno già meccanismi di difesa verso questo tempo così imprevedibile. Dobbiamo accompagnare le piante e dobbiamo coniugare la qualità alla produzione. Qui a Cirò c’è sempre stata grande produzione legata alla vendita dell’uva. Adesso i vignaioli che vendevano solo il prodotto, si sono messi a fare vino, quindi nel cambio di prospettiva, serve un prodotto che dia identità e qualità”.
Ne fa giustamente un aspetto anche culturale. A quale libro piace accompagnarsi, se ce n’è uno in particolare?
“Un libro che mi portavo sempre dietro quando viaggiavo era Vino al vino di Mario Soldati. Leggevo e rileggevo prima di andare a visitare un posto. Le pagine servivano per capire la cultura del luogo, le differenze. Sempre stata una guida per me”.
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