di Dario La Rosa
Si dice che il desiderio sia inversamente proporzionale alla distanza di cui necessiti per essere soddisfatto.
Questo forse spiega perché un grande vignaiolo sardo possa essere restio all’idea di vacanze e anche in qualche maniera anche al mare.
Alessandro Dettori ci racconti dunque la sua estate.
“D’estate? Impossibile andare in vacanza. Intanto devo confessare che non mi piacciono le vacanze lontane dalle mie terre perché mi annoio. Segreto a parte, non me ne voglia mia moglie, preferisco stare a casa a fare le mie cose, vivere nel mio mondo. In più in questo periodo non posso andare in vacanza perché in azienda abbiamo l’agriturismo e quindi siamo sempre in compagnia degli ospiti. Posso però dire che è stata un’estate appassionante sia in senso positivo che negativo. Non vediamo pioggia da dicembre, a parte 16 millimetri caduti ad aprile”.
A questo punto è d’obbligo chiedere come stanno le piante dei suoi vigneti in Romangia, il nome del territorio dove produce i suoi vini.
“Grazie a questo storico terroir che è baciato dalla fortuna e grazie all’esperienza le piante stanno bene. Per fortuna qualche giorno fa ha piovuto e quindi adesso le piante sono veramente in forma. Facciamo l’inerbimento controllato e questo aiuta anche con temperature alte. Poi lavoriamo sulla gestione della chioma. Abbiamo fatto la potatura verde ma lasciando una chioma di protezione al grappolo. Il concetto è aria all’interno ma protezione all’esterno. Abbiamo avuto un bel da fare. Dall’altro lato, però, abbiamo fatto solo due trattamenti di zolfo. Il 2 di luglio ho praticamente finito di lavorare. Il paradosso è che però non sono mai andato a mare anche se abito a 180 metri dalla costa”.
Vorremmo non aver sentito l’ultima frase. Il mare di Sardegna… chi non pagherebbe per essere lì a quella distanza dall’acqua?
“Il fatto è che ho lavorato sempre in campagna d’estate, sin da ragazzo e non sento il mare come una cosa che mi appartiene sino in fondo…Ma è vero anche che è stata un’estate di passione sotto tanti punti di vista. Ad esempio è molto bello rivedere le tante persone che tornano in azienda. Il fatto che chi ama il vino venga a guardare il lavoro che fai è una magia. In più porto avanti delle ricerche storiche e storiografiche sulla Sardegna quindi ho anche studiato”.
Ci faccia respirare i sentori di questa annata. Non vogliamo sapere se avrà una grande qualità o altro. Vorremmo percepire quel che sta avvenendo adesso e che può regalarci un sentore del prossimo futuro.
“Quest’anno, assaggiando in vigna, ho notato una crescita e un andamento organolettico difformi rispetto al passato. Sto rientrando adesso da un assaggio più vicino alla vendemmia. Dopo le piogge, oggi, ti dico wow. Sino a qualche giorno fa ero un po’ dubbioso perché sentivo zuccheri ma non erano quelli che piacciono a me. Adesso tutto sembra in equilibrio e vediamo se tra tre-quattro anni sarà vino degno di essere imbottigliato”.
Lei è uno di quei produttori naturali “ortodossi”. Come definirebbe oggi i vini naturali? A che punto siamo secondo lei, anche rispetto alle tante etichette nascenti?
“Il vino naturale… ne ricordo gli inizi perché c’ero seppur in maniera inconsapevole. Quella dei vini naturali è stata un’esigenza, una necessità. Eravamo alla fine degli anni Novanta. C’era l’esigenza di andare dalla parte opposta rispetto all’inseguire i mercati. Per me era l’esigenza di mettere in bottiglia il vino del fiasco, il vino che ha tolto la fame a tante generazioni. C’era il pane e c’era il vino. Era la voglia di mettere in bottiglia un estratto, un concentrato della nostra terra. L’obiettivo oggi continua ad essere questo. A me piace parlare di metodi e processi perché se vuoi produrre un vino all’ennesima potenza rispettoso del terroir, devi avere metodi e processi naturali. E’ chiaro che ci vogliono esperienza e professionalità. Un produttore naturale non lo valuti per le quantità di vino che ha imbottigliato ma per la quantità di vino che ha rinunciato ad imbottigliare. Sono contento delle tante etichette che nascono di anno in anno. Sono assolutamente a favore del movimento. Tra l’altro, alcuni vini che possiamo definire imprecisi stanno facendo avvicinare tanti giovani a questo mondo. Il bello è che ce n’è per tutti. Ognuno può fare il vino che vuole. L’importante è che ci sia il rispetto di tutti”.
Tutto gira comunque dal berlo il vino. Sotto il profilo commerciale lei ha chiuso un importante accordo legato all’esportazione delle sue bottiglie. Che ci dice a riguardo?
“Ho concluso un importante accordo di distribuzione in esclusiva che porterà i miei vini in 59 Paesi del mondo. Ho accettato questa sfida perché non sono solo un semplice rivenditore dei miei vini ad una società che fa capo a Generali, ma sarò l’attore principale del racconto del mio territorio all’estero. Tenute Dettori è e rimarrà sempre della famiglia Dettori, per intenderci, al contrario questo accordo ci permette di dedicare tutte le nostre energie in quello che deve essere il nostro unico vero lavoro: la vigna e la cantina”.
Chiudiamo con i libri, ci diceva della sua passione per la storia. Bagagli che si porterà dietro anche nel progetto di cui abbiamo appena parlato.
“Io leggo saggi storici e sto facendo tanta ricerca. Sono un topo da biblioteca. Ultimamente mi ha catturato molto un libro che si intitola “Un volgo disperso, contadini d’Italia dell’800” di Adriano Prosperi. Vede, oggi è tornato in voga definirsi contadino. Una parola di cui ho rispetto e timore. Lo consiglio a chi si definisce contadino o a chi vuol entrare in questo mondo”.
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