di Giorgio Vaiana
“Penso che sia un cammino che è necessario fare”.
Così Attilio Scienza, luminare del mondo del vino italiano, raggiunto telefonicamente parla di Uga (unità geografiche aggiuntive). “Di solito le modificazioni e i cambiamenti avvengono sempre dal basso – dice Scienza – Non sono mai invenzioni dall’alto dei produttori. E credo che queste cose siano invece esigenze dei consumatori che hanno la necessità di legare il vino che bevono ad un preciso territorio. Andare oltre la semplice marca del vino o il suo vitigno, e fare in modo che si possa “bere” qualcosa di autentico, che identifichi il vino attraverso il luogo in cui viene prodotto. Ecco penso che in questo modo i contenuti evocativi del vino siano molti di più”. Sono tantissime le denominazioni italiane che si stanno adeguando un po’ su questa scia, che ricalca un pochino il modello francese dei cru. “Le denominazioni che hanno una certa storia alle spalle – prosegue Scienza – adesso devono fare il salto di qualità. Il modello francese è molto apprezzato dal mondo anglosassone. Vedere sull’etichetta il nome di un luogo non è una cosa di poco conto, non è una strategia aziendale o di marketing, ma rappresenta un territorio ben preciso e delimitato. Qui c’è il vero valore di questa operazione”. In Italia già molti consorzi si sono messi al lavoro per questa operazione: “Lo ha fatto il consorzio del Barolo perché alle spalle hanno una lunga tradizione – dice Scienza – poi il Soave con uno studio molto preciso di zonazione. Lo ha fatto il Nobile di Montepulciano che ha un buon mix di storia e cultura che afferisce ai luoghi del passato e il Chianti Classico con il lavoro sui comuni. Lo stanno facendo tante altre denominazioni per dare una più precisa denominazione del territorio in cui il vino viene prodotto. Ora penso anche all’Etna, con le sue contrade. Potrebbe essere un’operazione importantissima”. Ma badate bene, spiega il professor Scienza: “C’è un pericolo che incombe – dice – purtroppo c’è il rischio di individuare queste sottozone tracciandole semplicemente con dei segni di matita sulle cartine. Nulla di più sbagliato. Se vogliamo dare dei contenuti e dei valori a queste denominazioni, dobbiamo partire da una conoscenza reale dei territori, dalla composizione dei suoli fino ad arrivare ai vigneti. Insomma dobbiamo dimostrare al consumatore che il vino prodotto in quel preciso territorio è davvero diverso da quello prodotto a pochi chilometri di distanza. E non deve esserlo solo per un tratto di matita disegnato su una cartina, ma perché davvero quell’uva prodotta in quel posto ha caratteristiche diverse da quella prodotta lì vicino”. Insomma Scienza non ha dubbi: le unità georafiche in futuro saranno molte di più in Italia. “Un modo per consentire anche a quei territori che vogliono vendere più vino imbottigliato e meno sfuso a far aumentare le quote delle bottiglie vendute. Perché alla fine si venderebbe non un vino generico, ma un vino ben localizzato. Insomma credo che le Uga possano rappresentare quella politica di qualità attraverso l’imbottigliato”.