E’ il maggior esperto mondiale di asparago coltivato, chiamato a collaborare dalle aziende promotrici del progetto CoAS perché tutto procedesse al meglio.
Agostino Falavigna è direttore dell’Unità di ricerca di Orticoltura del Consiglio per la Ricerca e la Sperimentazione in Agricoltura (CRA) di Montanaso Lombardo, in provincia di Lodi. Anche lui ha creduto nell’asparago selvatico e, nei giorni scorsi, ha fatto un giro nelle aziende coinvolte nel progetto per dare il suo contributo ad una coltivazione che abbina tecnologia all’avanguardia e tecnica colturale a basso impatto.
“Il mio contributo al progetto è quello di rendere possibile la coltivazione o meglio, l’aumento dei quantitativi prodotti rispetto a quelli che la natura già offre, per fare entrare il prodotto in un mercato più ampio, utilizzando sempre tecniche colturali a basso impatto ambientale”.
Ci racconti l’asparago selvatico.
“Le specie che, messe insieme, producono l’asparago selvatico sono tre: l’asparagus acutifolius o asparago nero, l’asparagus stipularis, di un nero più intenso perché antocianico e poi quello più tipico della Sicilia, che si trova solo nell’isola e pochissimo in Calabria, che è l’asparagus albus o bianco. I mazzi di asparagi selvatici che noi vediamo normalmente sono composti da queste tre specie”.
Che caratteristiche ha quest’asparago?
“L’asparago, sia quello coltivato ma ancora di più quello selvatico, è riconosciuto da secoli come pianta officinale, cioè una pianta che cura le malattie. Tanto è vero che l’asparago coltivato si chiama asparagus officinalis. Nel corso dei secoli si è creata una letteratura molto ricca intorno alle potenzialità dell’asparago. Ma ciò che è scientificamente provato è che l’asparago, coltivato ma ancor di più quello selvatico, favorendo la filtrazione del sangue ad opera dei reni ha un forte potere diuretico, ma soprattutto contiene – cosa caratteristica solo dell’asparago – due saponine”.
Ci spieghi meglio.
“Le saponine sono dei composti chimici la cui famiglia è molto complessa. Quelle che si trovano nell’asparago sono conosciute scientificamente per avere un forte potere inibente nella proliferazione nelle cellule tumorali del colon. C’è una vasta letteratura sviluppata sull’argomento all’Università del New Jersey negli Stati Uniti, dove si dimostra che queste due saponine, la protodioscina e la protodiogenina, hanno questo potere. Nell’asparago selvatico la concentrazione di queste molecole benefiche è molto più elevata rispetto all’asparago coltivato, superiore fino a dieci volte. Ne contengono tre o quattro grammi per ogni chilo. Questi composti hanno una riconosciuta attività nutraceutica”.
Perché queste molecole facciano il loro effetto, quanti asparagi selvatici bisognerebbe consumare?
“Per avere un effetto benefico costantemente protettivo bisognerebbe mangiarli non in modo saltuario come facciamo noi, ma durante tutto l’anno. L’asparago, anche inscatolato o surgelato mantiene le sue caratteristiche”.
Cosa succede cocendo l’asparago?
“Le saponine sono composti abbastanza resistenti al calore, sopportano fino ad una temperatura di cento gradi, ma si sciolgono in acqua. Dunque se si fanno bollire, gli asparagi perdono le loro proprietà. Meglio saltarli in padella con una cottura veloce”.
Si può coltivare l’asparago selvatico senza metodi particolari?
“Certo che si può. Se c’è una collina ricoperta da erbacce, ad esempio, perché non valorizzarla con delle piantine di asparago selvatico? Cresce senza particolari cure ma richiede un po’ di pazienza perché i primi turioni spunteranno dopo quattro anni”.
C.M.