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L'intervista

La strategia per l’export secondo Stevie Kim, direttrice di Vinitaly International

30 Novembre 2012
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Stevie Kim

L'Italia rischia il sorpasso della Spagna come primo fornitore mondiale in termini di volume di vino esportato, ma avrebbe grandi potenzialità se il settore si concentrasse maggiormente sull'export di vini di qualità.

Questi i risultati della ricerca elaborata dal Monte dei Paschi di Siena e dall'istituto Ismea e presentata nel week end a Siena. Cerchiamo di analizzare i dati con Stevie Kim, direttrice di Wine e food Vinitaly e Vinitaly international, e, come si definisce lei stessa, “una coreana naturalizzata americana che promuove il vino italiano nel mondo”.

Lo studio ha evidenziato il balzo della Cina tra i paesi importatori. Secondo lei perché l'Italia del vino fa ancora fatica ad affermarsi in questo Paese?
“Partiamo da un'altra domanda: perché i francesi ci sono riusciti? Il primo aspetto è la semplicità del vino francese: 5, 6 vitigni e un sistema di classificazione più o meno uguale a quello introdotto da Napoleone III negli anni '50 dell'Ottocento. Da non dimenticare poi che loro hanno iniziato molto presto a rivolgersi al mercato cinese, grazie anche al lavoro degli inglesi, i quali hanno portato il vino francese prima in Inghilterra, quindi a Hong Kong e dunque in Cina, dove controllano il sistema di vendita. Terza e fondamentale ragione, ormai nota ma ancora non risolta da noi, il coordinamento governativo delle diverse aziende che si presentano con il marchio unico di vino francese. Il vino italiano è più complicato, i vitigni e le complessità sono molteplici. Non intendo dire che deve snaturarsi ed emulare il modello francese ma importantissimo è il lavoro di indagine e l'elaborazione di una strategia comune e studiata nel tempo per educare e portare conoscenza laddove non c'è una cultura consolidata come altrove. Le potenzialità in Cina sono altissime perché il mercato è ancora embrionale e c'è molta voglia di vino”.

E anche molta voglia di conoscenza del vino?
“Moltissima, più di quanto si pensi. Il mercato cinese è molto eterogeneo e il Paese è vastissimo con realtà diverse. Troviamo chi compra vino di bassa qualità o prodotti cinesi venduti con nome italianeggiante che li rende appetibili. Diffusissima è poi l'usanza di regalare vino a importanti funzionari o imprenditori e in questi casi ci si limita a scegliere le bottiglie più costose. Ma c'è anche chi si interessa ed è attratto dal territorio e dallo stile di vita italiani. E su questo dovremmo puntare, sfruttando l'appeal che il nostro cibo e la nostra moda già hanno in Cina”.

Come?
“Non certo con una singola cena o una degustazione con qualche bottiglia su un banco come fatto finora, ma con una strategia pensata che inizi dalla conoscenza della realtà a cui ci rivolgiamo per invogliare e incentivare la conoscenza della nostra realtà”.

Individua soluzioni pratiche e immediate (o comunque possibili da raggiungere in breve tempo) per fare squadra sullo stile francese e affermarsi maggiormente in alcuni mercati?
“No, servono tempo e conoscenza per sviluppare una strategia. Noi, come Vinitaly International, cerchiamo di offrire gli strumenti e creare un cappello di protezione per le aziende, ma non è sufficiente. Penso che la crisi sia molto utile da questo punto di vista per spingere a far squadra. L'unione fa la forza, adesso come non mai. Ma forse in questo sono proprio americana! Accorgimenti immediati e pratici sono per esempio adeguarsi agli usi locali: quando andiamo in Cina, dobbiamo utilizzare social network diversi dato che Facebook o Twitter sono oscurati, cercare di sviluppare rapporti con gli importatori locali, capire i gusti del posto e magari sviluppare opportuni abbinamenti vino/cibo. Tutto parte dalla conoscenza del mercato di riferimento”.

Quali sono le differenze di approccio quando vi rivolgete a Cina, Russia o Stati Uniti (dove Vinitaly già organizza eventi)?
“L'approccio è diversissimo, proprio perché diversissime sono le realtà. Negli Stati Uniti i vini italiani sono ormai conosciuti, ma perché? Perché c'è stato in passato un rapporto vis-a-vis tra produttore e cliente. Tuttavia c'è ancora molto da fare: prendiamo una piazza consolidata come New York: ogni settimana ci sono sette, otto degustazioni di vino italiano distaccate e senza coordinamento. Il problema è che l'italiano è sì molto creativo, ma troppo individualista.
Anche in Russia i vini italiani hanno ormai un discreto successo. Quello cinese è un mercato più difficile da navigare: spesso i produttori non sanno dove va a finire il vino e quando chiedono all'importatore se sia stato apprezzato per magari concordare nuovi ordini, questi risponde: “Ho comprato il tuo vino, non è importante dove sia andato a finire”. Su questo c'è da lavorare, per creare rapporti che fidelizzano il cliente. In questo senso, Vinitaly cerca di comportarsi da agenzia matrimoniale”.

Pensa che i grandi produttori siano interessati a far gruppo o preferiscano promuovere da soli i propri vini?
“In passato io non mi occupavo di vini, quando ho preso questo incarico a Vinitaly mi sono subito preoccupata di conoscere i produttori e ogni anno, da tre anni, organizziamo una cena in cui invitiamo i principali per incontrarci e confrontarci. L'entusiasmo con cui rispondono a questo invito secondo me testimonia il loro interesse a rapportarsi con gli altri protagonisti del settore. Non oso dire che abbiamo trovato la soluzione, ma quantomeno ci proviamo, sebbene il percorso sia lungo”.

La ricerca ha indicato i paesi dell'Europa dell'Est, del Sud America e dell'Estremo Oriente come i futuri mercati verso cui concentrarsi. Voi vi state attivando in queste realtà?
“In passato organizzavamo una ventina di eventi all'anno. Io forse sono troppo pratica, ma ho preferito ridurli a tre (Hong Kong, Usa e Russia) ma farli bene. È importante valutare gli effetti di questi eventi, analizzarli per capire se hanno portato risultati. Per esempio, abbiamo sfruttato Hong Kong come canale verso la Cina e ora che abbiamo consolidato questa piattaforma andremo a Shanghai, dove collaboreremo con Enoteca Italiana per lo sviluppo di progetti di promozione. In un secondo momento, certo, ci rivolgeremo anche altrove”.

Dove in particolare?
“Il Brasile è sicuramente un Paese interessantissimo ma le barriere doganali sono difficilissime da superare (più di quelle cinesi). Le grandi cantine aprono per esempio società locali. Tutte le realtà citate sono scenari che teniamo sotto osservazione, in cui abbiamo intenzione di sviluppare progetti in futuro, ma avanziamo molto con i piedi di piombo. Specialmente in questo periodo, non è il caso di buttarsi e sperperare risorse”.

Quali saranno le novità internazionali per il prossimo Vinitaly a Verona?
“Ce ne saranno molte, sia per quanto riguarda l'internazionale, sia per il nazionale. Ma non posso ancora svelarle. Risentiamoci a gennaio per la seconda puntata”.

Bianca Mazzinghi