(Tiziano Caruso)
di Giorgio Vaiana
Cambiare il concetto di “buono”. Pensare che una regione come la Sicilia, potrebbe produrre olio di oliva da 50 diverse qualità. Migliorare le tecniche di gestione degli uliveti.
Torniamo ad incontrare il professor Tiziano Caruso, ordinario di Coltivazioni arboree presso l'Università degli Studi di Palermo. Con lui avevamo parlato qualche tempo fa della questione relativa all'irrigazione degli uliveti. Oggi giochiamo in casa e parliamo di Sicilia. Secondo Caruso, la nuova olivicoltura non può pensare di essere fatta in aree asciutte: “Serve acqua – spiega Caruso – e oggi la tecnologia ci aiuta. Si chiama agricoltura di precisione. Ci sono dei sensori in grado di farci sapere qual è la quantità esatta al millilitro da fornire ad un albero in un determinato momento”. La Sicilia dell'olio e delle olive ha grandissima potenzialità. Lo dicono i numeri. Perché nell'Isola esistono circa 150 diverse varietà di olive. Ma di queste, solo 8, forse 9 vengono coltivate per realizzare olio e derivati. “Le potenzialità sono enormi – spiega il docente – I nostri agricoltori devono imparare ad offrire una serie di prodotti eccellenti. E poi la furbizia. Non direi mai che uno è più buono dell'altro: direi che uno è meno o più adatto. Perché il concetto del “più buono” non esiste. Io sono per il diverso”.
E su queste specie “di nicchia”, il professore fa i nomi: “Penso alla Piricuddara, una varietà che si ritrova in alcune contrade di Sciacca in provincia di Agrigento, oppure la Crastu che si trova sulle Madonie, o ancora la Minuta, nel messinese, o vari tipi di biancolilla che danno prodotti diversi rispetto a quelli che conosciamo”. Secodo Caruso, facendo un po' i conti, in Sicilia si potrebbero avere una cinquantina di olivicolture diverse. “Il problema – dice – è gestire queste filiere. Serve una progettazione, ma soprattutto una capacità unica di gestione. Perché esistono circa 30, 40 modelli che hanno una gestione analoga, ma non uguale”. L'Isola infatti, è diversa da chilometro a chilometro. “Varie cultivar, coltivate a varie altezze – dice Caruso – con produzioni a chiazza di leopardo, le aziende che hanno l'annata di carica, mentre quelle accanto di scarica. In alcune zone magari c'è stato il clima perfetto, in altre no. Insomma fare sistema è l'unico modo per dare valore al nostro olio di oliva”.
L'associazionimo, secondo il docente, è fondamentale, anche per altri motivi: “L'olivicoltura è una pratica molto complessa – spiega il docente – più di quello che sembri. Dove c'è la tradizione, bisogna valorizzare queste produzioni. Ma non si può più fare a meno di tecnologie. Per questo l'associazionismo è fondamentale. Poi il ruolo fondamentale della filiera ce l'hanno i frantoiani, un ruolo chiave e strategico. Perché da loro dipende la lavorazione e la destinazione del prodotto. Oggi credo che sia necessario molire separatamente le olive. Una cosa non facile. Ma di sicuro effetto per i mercati che si possono aggredire in maniera diversa, presentando un prodotto unico. Basta con i blend”. Difficile ancora fare una previsione dell'annata: “In alcune aree durante la fioritura è piovuto, quindi ci sarà meno raccolto – spiega il professore – altre hanno avuto pioggia durante il periodo dell'allegagione, quindi il raccolto sarà ricchissimo. Credo che sarà un anno medio di produzione per la nostra regione. Anche se, a sensazione, non si prefigura un'annata eccezionale”.