Alessia Panzeca è la nuova consulente del settore per Assovini. Obiettivo: lavorare sui contenuti. E traccia punti di forza e criticità delle cantine dell'Isola
(Alessia Panzeca)
“La comunicazione? È un po' la Cenerentola del vino siciliano. Ma attenti. Oggi le regole sono tutte da rinnovare e perché funzionino serve maggiore integrazione dentro le cantine.
Il potenziale è enorme perché l'Isola ha saputo fare sistema ed il vino siciliano è considerato ancora troppo giovane nel contesto mondiale, ma è un aspetto, quest'ultimo, che può diventare un vantaggio”. È in estrema sintesi il pensiero di Alessia Panzeca, da qualche settimana la nuova consulente della comunicazione per Assovini Sicilia, l'associazione che raggruppa le principali cantine dell'Isola. Questa è la sua prima intervista nel suo nuovo ruolo.
Nel tuo percorso professionale come arrivi al vino?
“Non arrivo al vino per caso. È stata una cosa che ho fortemente voluto e cercato, sin da quando ero all'università e mi divertivo a fare la promoter nei ristoranti. Dopo la laurea, ho fatto un master in Relazioni Pubbliche a Roma e poi ho cominciato a lavorare a Milano nel settore Ict collaborando con multinazionali importanti come Intel, Ibm e Cisco Systems. Milano la amavo, ma come molti siciliani mi mancava la mia terra, sentivo un forte richiamo alle origini, un forte desiderio di non impegnare le mie energie altrove. Un giorno – correva l'anno 2003 – una mia ex collega che conosceva i miei progetti mi girò una pagina del Corriere della Sera in cui un head hunter aveva pubblicato un annuncio in cui cercava una figura il cui profilo era molto affine al mio. Decisi di tentare e iniziai una sfilza di colloqui, prima a Firenze con il cacciatore di teste e poi a Bolgheri, quando scoprii quale fosse l'azienda in questione. Così entrai nei vino dalla porta principale e diventai responsabile del marketing e della comunicazione di Tenuta dell'Ornellaia. Da allora mi sono sempre occupata di vino, anche se il rientro in Sicilia inizialmente non fu facile come avevo immaginato”.
Nell'era digitale di internet e dei social come è cambiata la comunicazione?
“È una domanda complessa, in breve si potrebbe semplicemente rispondere che è cambiata totalmente. Lo è per la velocità, dato che tutto quello che accade è già di dominio pubblico nel momento stesso in cui accade. Lo è per l'impossibilità, spesso, di identificare target definiti a cui rivolgersi. Lo è perché i social sono strumenti nuovi e si evolvono in continuazione, per cui è difficile comprenderne bene l'utilizzo se non si è costantemente aggiornati. Lo è perché finalmente le aziende possono “ascoltare” il mercato, se ben utilizzano il mezzo. Lo è, ancora, perché i fan si possono trasformare in veri e propri brand ambassador. Ma soprattutto, lo è perché i social network hanno stravolto completamente il paradigma della comunicazione aziendale: con il loro arrivo infatti le aziende non possono semplicemente inserire in organico un digital manager e lasciare che ogni responsabile della comunicazione operi nel proprio settore, cioè che ad esempio il digital manager curi i canali social, il responsabile dell'ufficio stampa mandi i suoi comunicati stampa, il responsabile dell'accoglienza guidi in modo tradizionale le sue visite e degustazioni e così via. Mai come oggi i media sono strategicamente integrati fra loro e non è pensabile segnare una linea di demarcazione fra essi. Mai come oggi la chiave per il futuro del branding è l'integrazione”.
Quali sono secondo te i requisiti essenziali perché un'azienda agroalimentare faccia una buona comunicazione?
“Non sottovalutarla. Secondo me, è questo il requisito essenziale che permette alle aziende di poter impostare nel modo corretto una strategia di comunicazione. Purtroppo, la comunicazione è storicamente sottostimata, soprattutto in Sicilia… a cominciare dalla nostra università, basti pensare che non esiste come materia di studio nel corso di laurea in Economia Aziendale. Anche in molte cantine la comunicazione è un po' il fanalino di coda delle scelte aziendali e il criterio di destinazione del budget per le attività di comunicazione segue spesso il metodo della disponibilità o residuale, per dirla alla Kotler” (Philip, uno dei massimi esperti mondiali di marketing, ndr).
Ci sono differenze sostanziali nella comunicazione se ci si rivolge al mercato nazionale o a quello estero? E se sì quali?
“È già un errore quando parliamo di Italia ed estero. Forse dovremmo parlare degli “esteri”, per sottolineare il fatto che il panorama internazionale è composto da tanti Paesi, tutti con caratteristiche diverse che richiederebbero una strategia mirata. Idealmente, sarebbe corretto dare un ordine di priorità ai vari mercati e studiare un approccio ad hoc, almeno per i Paesi principali”.
Qual è il punto di forza del vino siciliano?
“La capacità di fare sistema. Quindici anni fa non avrei risposto così e non avrei neanche scommesso che sarebbe potuto accadere. E invece oggi Assovini prima, e il Consorzio della Doc Sicilia poi, ci dimostrano costantemente di quanto si possa fare bene restando coesi con un obiettivo comune”.
E, se esiste, qual è il punto di debolezza?
“Il fatto di essere nati ieri. In Sicilia non abbiamo né la storia, né i blasoni di altre regioni d'Italia, prima fra tutte la Toscana. I vini siciliani sono un po' i vini del “nuovo mondo” nel panorama dei vini italiani. In Sicilia siamo giovani, anche se coltiviamo la vite da sempre. Essere così giovani forse, però, in alcuni casi, ci aiuta ad essere liberi da condizionamenti, scevri da pregiudizi, ci lascia liberi di sperimentare, di innovare…di tutto questo dobbiamo fare un punto di forza”.
Ci puoi anticipare qualche azione che farai adesso con Assovini?
“Ci sono un sacco di cose belle da fare. Per prima cosa, intanto, mi sto occupando dei contenuti: bisogna creare un profilo dell'associazione e dei talking points intorno ai quali far ruotare la comunicazione. Uno degli obiettivi più ambiziosi che mi prefiggo è di iniziare a coinvolgere le aziende più piccole in modo da poter dare un supporto di comunicazione soprattutto a loro, cercando di diffondere la cultura della comunicazione a tutti i livelli”.
C.d.G.