(Manila Benedetto di Unionbirrai)
di Annalucia Galeone
La birra offre emozioni alla vista, all'olfatto e al palato. Come ogni etichetta di vino ha una sua storia da raccontare. Nell'antico Egitto è stata molto apprezzata e offerta in dono alle divinità, in Italia la sua diffusione è stata condizionata da antichi preconcetti.
I romani l'hanno associata alle popolazioni barbare del nord Europa e negli anni 70/80 per incrementare l'acquisto i guru della pubblicità hanno solleticato la fantasia maschile con immagini di donne sensuali e spumeggianti.
Il tempo è galantuomo, l'opinione è cambiata e la bevanda rivalutata. La preferenza non è più casuale, il consumatore è preparato sceglie tra centinaia di stili e la grande gamma di sapori. La platea dei beer lovers annovera sia il semplice curioso che il vero appassionato.
Nella cultura brassicola è d'obbligo fare la distinzione tra la produzione artigianale e industriale. “Definire la birra artigianale non è compito facile, perché non esistono delle linee guida ufficiali. Anzi la dicitura artigianale in etichetta può essere considerata pubblicità ingannevole”, sottolinea Manila Benedetto, responsabile nazionale alla formazione in Unionbirrai, associazione dei Piccoli Produttori. Per sopperire a questo vuoto legislativo in Parlamento verrà discussa una interrogazione promossa dagli attori del settore. “L'artigiano vuole fare cultura, il motore di tutto come sempre è la passione, il tendere verso un obiettivo mossi da una forza misteriosa, in questo caso il piacere di produrre una bevanda che ha molto da dire. È creativo, molto attento alla selezione delle materie prime, ricerca la varietà degli stili. La produzione industriale ha un target diverso sia come utenza che come mission. Ha costi più bassi, poca varietà, delle ricette standard. Sono due realtà differenti, non si può affermare che una è più buona dell'altra, alcune industriali sono senza difetti e interpretano perfettamente lo stile”, chiarisce Manila Benedetto.
Il primo birrificio artigianale in Italia è stato fondato nel 1996 da Teo Musso del Birrificio Italiano. In Puglia nasce nel 2001, grazie a Vito Lisco del Birrificio Svevo, capostipite del movimento dei piccoli produttori. Purtroppo, l'apertura al pubblico è stata inaugurata solo nel 2002 a causa delle complessità burocratiche. “In una regione come la nostra votata al vino non è stata un'impresa facile, Vito Lisco – spiega Manila – ha avuto il coraggio e la tenacia di continuare. Dopo 13 anni è diventato un punto di riferimento, una delle colonne portanti. I marchi registrati in Puglia sono circa 50 senza contare i 'beer firm', semplici investitori o veri e propri produttori che non hanno un impianto di proprietà e si appoggiano ad altre aziende per realizzare la propria. Nessuna associazione di categoria nazionale li raggruppa tutti, in Puglia sono in corso d'opera alcuni tentativi”.
“E' necessario sfatare alcune credenze – afferma Manila -. La birra artigianale non si beve direttamente dalla bottiglia, va versata nel calice. In questo modo tutta la Co2 viene eliminata con la formazione della schiuma ed evitiamo l'effetto 'pancia gonfia' alla Homer Simpson. La birra si presta agli abbinamenti, forse meglio del vino soprattutto nelle sfide più difficili. Il cioccolato fondente oltre il 70% si accompagna bene con birre morbide, per esempio le barricate sottoposte al passaggio in legno e supportate da una elevata gradazione alcolica. La classica associazione della pizza margherita con la Pils è una delle più sbagliate. Il pomodoro ha già una tendenza acida, la Pils con il suo finale amaro non fa altro che accentuarla. Io preferirei una Bock, perché la sensazione caramellata e la morbidezza finale attenuano l'acidulo del pomodoro. Il mercato in Puglia è in continua evoluzione così come la selezione. Andrà avanti chi fa qualità. Il settore attira molti produttori dilettanti desiderosi di trasformarsi in professionisti grazie ai contributi stanziati dalla Regione per l'imprenditoria giovanile”.